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Nel nome del Maligno

Regia di Roberta Findlay vedi scheda film

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La recensione su Nel nome del Maligno

di giurista81
4 stelle

Pellicola uscita nel circuito home video trentatrè anni fa, praticamente semisconosciuta in Italia e oggetto di una feroce bocciatura sui portali internet con un eloquente 3,9 su 10 in pagella sul sito imdb.

Alla regia troviamo una regina del sex exploitation degli anni settanta: la factotum Roberta (Hershkowitz) Findlay. Autentica factotum del mondo del cinema, di origini ungheresi ma nativa di New York, la Findlay, nata quale pianista, mette a disposizione la sua ventennale esperienza maturata nel mondo del cinema per quello che sarà il suo penultimo film da regista. Ammirata anche nei panni di attrice (con lo pseudonimo di Anna Riva), direttrice della fotografia, montatrice, operatrice di macchina, compositrice, sceneggiatrice e produttrice, la Findlay si fa forza degli insegnamenti ricevuti ai tempi delle collaborazioni con l'ex marito Michael Findlay, prematuramente deceduto nel 1977 all'età di quarant'anni. Veri e propri esperti di z-movie e del circuito grindhouse, la coppia è ancora ricordata nel mondo underground per una serie di pellicole orientate a miscelare storie horror o thriller con il genere erotico sadomaso. Michael Findlay dirigeva, la moglie interpretava ruoli secondari, sceneggiava e curava la fotografia. Tra i film più noti si ricordano il violento The Touch of Her Flesh (1967), un vero e proprio precursore del futuro sottogenere slasher e abbastanza apprezzato da avere due sequel, e Snuff, una sorta di thriller ispirato dagli omicidi della banda di Charles Manson.

Roberta Findlay ha diretto invece trentotto film, dal 1966 al 1989, lasciandosi ricordare dapprima quale regista di pellicole pornografiche ed erotiche spinte (in Italia è giunto Justine, una Minorenne Deliziosa, con la pornostar Vanessa Del Rio), quindi action (il violentissimo e di culto Tenement) e horror (lo splatteroso L'Oracolo, l'horror demoniaco Lurkers e il meno riuscito dei quattro horror della regista Blood Sisters). L'origine a luci rosse della regista si respira tutta in questo Prime Evil, un horror impreziosito da sfumature erotiche (si veda come vengono inquadrati i baci o le scene d'amore) incentrato sul mondo del satanismo. Purtroppo il tutto procede sviluppando (poco) un modesto soggetto che non fa altro che mettere in scena una serie di rapimenti di ragazze da destinare a un rito satantico in vista del solstizio di inverno. La Findlay alterna una lunga serie di topless, qualche scena di amore (non troppo ardita, in verità) e uccisioni da slasher movie dove si dimostra un certo gusto per il gore. La mano da specialista di exploitation si percepisce, tanto che non mancano gustosi effetti splatter (decapitazioni, pugnalate in campo), artigianali - eppur divertenti - effetti speciali con una notevole trasformazione finale dei volti e dei corpi dei partecipanti di un sabba (involvono allo stato di teschi, con pustole e deformazioni che aggrediscono la faccia) ben in anticipo su film di maggior prestigio come Faust di Brian Yuzna. Una conclusione che vale da sola l'intera visione. Si tenta anche di portare in scena una versione, realizzata con frattaglie di macelleria, un po' "suina" e un po' coniglio scuoiato di Satana. Tutto molto carino e tecnicamente ben reso, merito dell'effettista Ed French che qualche anno dopo strapperà la nomination all'oscar per il makeup di Star Trek VI, ma che all'epoca era già un maestro nel genere (Nightmare, Amityville Possession, Stuff Il Gelato che Uccide, Creepshow 2). Anche la regia non è male. La Findlay predilige le soggettive, i primissimi piani e riesce a portare in fondo un prodotto dove le interpretazioni e gli attori non sono certo i punti di forza. Il cast artistico è formato da debuttanti e sconosciuti, molti dei quali destinati a chiudere presto la carriera (a esempio, Mavis Harris, la suora infiltrata, farà solo un altro film). La protagonista Christine Moore farà una dozzina ulteriore di film (una piccola parte in Sotto il Segno del Pericolo di Noyce), ma quasi tutti nel circuito dell'home video o delle televisioni. Da segnalare la bionda Ruth Collins, abbondantemente utilizzata per il formoso seno e poco altro, che proseguirà la carriera ritagliandosi, a inizio duemila, anche un piccolo spazio da produttrice.

Qualcosa di buono c'è, ma il collante non amalgama sufficientemente il tutto. Peccato per la sceneggiatura (firmata da due inesperti sceneggiatori), colma di vuoti narrativi (si veda la parte idiota, pur nel suo voler esser ironica, dell'irruzione dei poliziotti in chiesa), dialoghi sovente da urlo e penalizzata da un'evidente mancanza di idee, con uccisioni buttate là tanto per allungare la storia (si veda l'uccisione della prostituta non gradita dal prete capo della setta). Gli sviluppi sono triti e ritriti, i personaggi non caratterizzati, altri gettati nella mischia senza averne il controllo (si veda la monaca infiltrata e il sacerdote che decide di condurre l'indagine contro la setta, i cui ruoli sono del tutto nulli ai fini della risoluzione del caso). Tutto ruota sulla presenza di un prete satanico (il debuttante William Beckwith, avrà un ruolo di comparsa nel successivo Scent of Woman) amante delle donne, che conduce dei riti finalizzati a ottenere da Satana il mantenimento della giovinezza in vista dell'immortalità (idea che rimanda al Dorian Gray) quale contropartita del sacrificio ogni tredici anni di una vergine. Nient'altro. La Findlay trova così un pretesto per dilettarsi, a quaranta anni di età, in un esercizio di stile che segna anche la conclusione della sua prolifica carriera. 

Efficace la semplice colonna sonora di Walter E. Sear, molto in stile Maniac di Lustig, famoso soprattutto per le colonne sonore delle versioni americane dei "nostri" horror Zombi Holocaust ed ...E Tu Vivrai nel Terrore: L'Aldilà.

Carino, ma solo per chi sa apprezzare gli z-movie. Vietato ai minori di anni quattordici.

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