Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Ispirato al bel romanzo di Emmanuel Carrère, Vite che non sono la mia, edito in Italia da Adelphi, il film affronta - nel 2011 - un tema che non credo abbia perso d'attualità.
Attento ai problemi sociali del nostro tempo, il regista Philippe Lioret in questo film ha affrontato il tema del credito erogato dalle banche o dalle società finanziarie a chi ne abbia necessità o creda di averne.
Molto spesso, come avviene nel film, infatti, ci si indebita per soddisfare piccoli o grandi capricci, bisogni indotti dalla pubblicità martellante e spregiudicata, seguìti dai dissennati acquisti di chi, meno difeso dalla cultura ed emotivamente più fragile, ricorre al prestito, facendosi trascinare nella spirale senza fine dei debiti.
In Europa, come negli Stati Uniti, sempre più spesso i tribunali si occupano del problema: lì si assesta sui più deboli il colpo definitivo, accettando tutte le richieste di restituzione, secondo contratto.
La prima parte del film ci presenta per l’appunto una situazione di questo tipo: davanti a Claire (Marie Gillain), giudice a Lione, si presenta la povera Celine (Amandine Dewasmes), madre di famiglia abbandonata dal marito. Claire la riconosce (i suoi figli sono compagni di scuola dei figli di Céline e si frequentano anche fuori), ne prende a cuore la causa e cerca di salvarla dalla rovina economica.
La aiuterà nell’impresa Stéphane (Vincent Lindon) giudice più anziano, esperto nella materia e idealmente solidale nella lotta contro i signori del credito, ma ormai disilluso per le troppe cause vinte e successivamente annullate in appello, quasi a suggello dell’intoccabile arroganza dei potenti.
Il rapporto fra Claire e Stéphane costituisce il secondo tema del film: la giovinezza di lei, la sua voglia di giustizia sociale, la fermezza limpida del suo sguardo sembrano restituirgli slancio e desiderio di lottare.
In realtà, Claire è condannata a morire in breve tempo poiché è affetta da una aggressiva malattia incurabile: l’ha appena saputo e ha deciso di non tentare neppure le invasive e probabilmente inutili terapie che le vengono proposte, così come ha deciso di tenere per sé la notizia, per non turbare quel marito che è un buon padre, sebbene incapace di reagire a una simile batosta con la razionalità necessaria a mantenere la serenità dei figli.
Stéphane aveva appreso fortuitamente della malattia di lei ne aveva rispettato le decisioni con una tenerezza e una dedizione che lasciano immaginare che l’amore possa essere anche questo generoso dono di sé, privo di prospettive, ma non per questo meno intenso, meno vero e profondo.
Questa parte del film è, secondo me, la migliore: la gita sul lago, il tentativo di rivivere i momenti felici del passato, la nuotata gioiosa che sta per tramutarsi in tragedia, ma anche il comunicare, alla fine, solo con brevi sguardi, attraverso le palpebre semi-chiuse, o con particolari movimenti delle mani che si stringono… sono pagine di grande finezza, bellissime e poetiche, che non si dimenticano facilmente.
Non sempre, però, i due filoni narrativi, seppur affrontati adeguatamente, si integrano: si avverte talvolta qualche cosa di irrisolto, senza che ne risulti compromessa, nel complesso, la validità del film che è bello e da conoscere.
Ottima l’interpretazione degli attori, in modo particolare di Vincent Lindon e Marie Gillain.
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