Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Anche dopo avere visto Tutti i nostri desideri, continuo a pensare, forse anche con maggiore convinzione, che Lioret sia un regista sopravvalutato. Non nego di avere un rapporto quanto meno complicato con il cinema francese contemporaneo, che ritengo, nella media, poco innovativo e piuttosto supponente. Direi, anzi, che la mia opinione esce rafforzata dalla visione del film di Lioret, che viene da molti considerato un esponente di prima fila nel panorama cinematografico transalpino e proprio per questo a me sembra incarnare i due difetti sopra indicati.
Pur avendo al centro un argomento di grande rilevanza sociale, riguardando una piaga che affligge soprattutto le classi meno abbienti, il film non è convincente né per quanto riguarda lo sviluppo della trama né per la descrizione dell'evoluzione dei personaggi. Ci sono tanti elementi, piccoli e grandi, che contribuiscono a rendere l'insieme poco credibile.
Non mi convince che la protagonista, uscita da una famiglia disgregata, con un padre dileguatosi e madre e sorella che vivono ai margini della società, sia riuscita a studiare, a laurearsi e ad entrare, molto giovane, in magistratura.
Non mi convince che si prenda a cuore la causa di una conoscente, tanto da non solo darle ragione in tribunale, ma anche da ospitarla a casa propria, da darle del denaro e regalarle i propri vestiti.
Non mi convince che lei e il suo collega giudice si prendano a tal punto a cuore la causa - pur rilevantissima, lo ripeto - delle clausole ingannevoli inserite nei contratti delle finanziarie, tanto da occuparsi entrambi personalmente dei ricorsi e dei controricorsi e da farne praticamente una ragione di vita.
Non mi convince, infine (ma vado solo a memoria), che Claire, sposata e giovane madre di due bambine, scopertasi ammalata di tumore al cervello, rifiuti di curarsi (procurandosi solo la morfina a scopo antidolorifico), andando incontro ad una morte certa e veloce. Più che un comportamento da giudice coscienzioso, mi sembra quello di una martire laica.
Detto questo, non contesto certo il diritto di nessuno a considerare Lioret una punta di diamante del cinema francese: nondimeno continuo a pensare che in questo caso sia riuscito a sprecare la fortuna di avere a disposizione due interpreti d'eccezione. Vincent Lindon - che l'improvvida sceneggiatura propone quale giudice e allenatore di rugby (è forse credibile la sequenza ambientata al campo sportivo e negli spogliatoi?) - è intenso e misurato allo stesso tempo. Marie Gillain, anche se il personaggio non l'aiuta, è molto brava e ritengo che meriterebbe più credito e maggiori occasioni: del resto, è molto più bella di Charlotte Gainsbourg e molto più attrice, molto più espressiva, di tante bambolotte inusitatamente promosse al ruolo di interpreti cinematografiche.
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