Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Che Philippe Lioret sia un ottimo cineasta non lo diciamo noi: è nelle cose. Nei risvolti poetici del suo titolo precedente, Welcome (2009); nella sensibilità con la quale affronta temi drammatici, personali e sociali nel nuovo film Tutti i nostri desideri. Una donna e un uomo. Lei, Marie Gillain, giovane magistrato piena di ideali, scopre di avere un cancro al cervello, non dice niente a nessuno e continua con il suo lavoro, anche per non lasciare sola Hadji (Isabelle Renauld), ridotta sul lastrico perché vittima di un vergognoso raggiro bancario legalizzato. Lui, Vincent Lindon, maturo magistrato con tutti gli ideali dietro le spalle, finisce per conoscere la verità e aiutare la collega, mettendosi in discussione in modo radicale. I due diventano intimi, ma né amici (per lo meno non in senso tradizionale) né amanti. Dietro lo stupore di una relazione non classificabile sta la fonte letteraria del film, il magnifico libro di Emmanuel Carrère Vite che non sono la mia (Einaudi), in particolare la storia di Juliette, ricaduta in una terribile malattia. Mentre lo scrittore affronta la narrazione senza mai prendere le distanze, come se fosse il narratore a doversi fare carico delle vite che non sono la sua, Lioret racconta la vicenda secondo il suo particolare stile apparentemente distaccato. Una fredda empatia che attraverso formalismi (Gillain e Lindon si danno del “voi” fino al letto di morte), atmosfere plumbee, reticenze sentimentali, segreti custoditi nel silenzio, rivela una vicinanza umana fragorosa. Non ricordiamo nel recente passato un rapporto cinematografico così compiuto e originale, fatto di reciproche maturazioni e riscoperte, portato all’apice espressivo dalla splendida sequenza del bagno nel lago gelato. Come in Welcome, nuotare permette a Lioret, sound editor prima che regista, di calare i propri personaggi in un impasto sensoriale completo, dove i corpi rabbrividiscono, annaspano, faticano, vivono pienamente anche fossero gli ultimi istanti. Certo potrà sembrare troppa la carne al fuoco, persino rispetto al libro di Carrère (di fatto solo una traccia iniziale), ma gli eccessi si dimenticano anche solo guardando in faccia Marie Gillain, sbalorditiva.
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