Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Il dio Mercato ed i suoi diabolici comandamenti, incisi con le brutali fiamme della perversione e dell’abiezione: un’enorme, informe massa tumorale con abominevoli ramificazioni infette che metastatizzano, in maniera vile e sistematica, gelida, scientifica, gli elementi più deboli e “sacrificabili” della società moderna.
Sistema parassitario e zombesco, le cui regole sono infallibili pezzi di un gioco crudele; regole che mutano, si smentiscono, mentono, si ridefiniscono ed autoalimentano di continuo, affinché sia salva la propria sopravvivenza.
Persino controllo e controllori sono pedine che debbono obbedire, piegarsi alle piaghe virulente che generano “necessari” danni collaterali dell’”insostituibile” istituzione-economia.
Claire giovane donna e giudice di primo grado del Tribunale di Lione, si deve occupare del caso di Céline, madre oppressa e perseguita(ta) dalle violente e impudenti tattiche e furberie di un istituto di credito: offerte ingannevoli, contratti equivoci e nebulosi se non invalidi, il debito che cresce a dismisura, gli interessi che levitano, molestie senza ritegno, la (in)giustizia. Dopo aver emesso una sentenza onesta, in favore della chiamata in causa, viene prontamente sconfessata, redarguita dai superiori. La contemporanea scoperta di una neoplasia inoperabile al cervello la catapulta in uno stato devastante. Con la scelta di aiutare ad ogni costo Céline, sa di dover affrontare due Mali.
Due Mali, due cancri.
L'inarrestabile progressione che conduce a morte sicura di uno, detta l’urgenza disperata nel combattere l’altro. Un sostegno forte, decisivo giunge dall’esperto e più vecchio collega Stéphane, che l’assiste nel complicato cammino tra i meandrici, tortuosi, minati solchi tracciati dalle pale della infernale macchina burocratica legislativa, anche - e soprattutto - europea.
Il rapporto che Claire stabilisce sia con Céline che con Stéphane è centrale, denso di significati e sfumature.
Due vite, due possibilità.
Céline, genitore amorevole e persona fiera, le evoca un passato fatto di fughe - causato dal comportamento irresponsabile di una madre incapace di controllare pulsioni consumistiche e perciò sempre inseguita dai creditori - ma in lei intravede anche un potenziale “surrogato” che possa portare avanti la serena esistenza della propria famiglia, costituita da marito e due figli piccoli.
Con Stéphane Claire instaura un legame che va oltre la semplice collaborazione lavorativa, intimo e tenero, ma che non vira in una banal(izzant)e svolta sessuale. Forse l’uomo colma il vuoto lasciato dall’assenza della figura paterna, certamente in lui trova riparo e conforto da una sofferenza atroce e totalizzante, che inesorabilmente e nonostante la vicinanza degli affetti più cari non può che creare mura invalicabili entro cui si confinano solitudine e incomunicabilità. Il marito è buono e premuroso, ma Claire stessa lo reputa incapace di reggere alla disgrazia, perciò trova in Stéphane un appoggio scevro da vincoli ed obblighi, un amico, compagno di un percorso sincero fatto di silenzi, di sensazioni, di complicità. La loro battaglia contro il gigante mostro è sì legittima e “giusta”, per Claire significa anche la speranza in un mondo più solidale, più attento ai bisogni della gente, più umano. Il mondo in cui cresceranno i suoi figli.
Avvalendosi dell’interpretazione straordinaria, sempre credibile, misurata, di Marie Gillain e Vincent Lindon, il regista, Philippe Lioret, mette in scena un racconto lucido, autentico, toccante, vigoroso e rigoroso. Non cede né a facili suggestioni sentimentali, che avrebbero dirottato il film verso una deriva superficiale, pietistica, ricattatoria, né ad opportunistiche strillate da “caccia al nemico” - visti i tempi di crisi - contro i (pre)potenti signori dell’odiosissima corporazione bancaria, evitando in tal modo di sfociare nel comune ed inutile populismo e qualunquismo del quale gli stessi padroni dell’economia globale - così come i servili governanti - se ne beneficiano.
Il ritratto di Claire - del suo dolore, del suo crescente tormento per la certezza del suo destino e per l’incertezza di quello dei familiari, del rapporto esclusivo con Stéphane - è dolce e crudo allo stesso tempo, delicato e realmente struggente, attento a (ac)cogliere e a effondere con assoluto rispetto e profondità le istanze emozionali che scaturiscono da una vicenda tragica ma non conclusiva.
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