Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Claire, giovane giudice del tribunale civile, scopre di avere un tumore incurabile al cervello. Ma il film non parla di questo. La lotta che la donna combatte non è contro la malattia, alla quale, invece, decide subito di arrendersi, rifiutando un trattamento che le consentirebbe di guadagnare qualche mese di vita. Claire, che pure è madre di famiglia, non pensa a sé. I suoi sforzi sono concentrati su una causa, che vede imputata Céline, la mamma di una compagna di scuola di una delle sue figlie: una donna sola, che ha un impiego part-time e, per mantenere sé ed i suoi bambini, ha stipulato vari prestiti e mutui, fino a trovarsi nell’impossibilità di pagare le rate. Per poter andare avanti indisturbata, nello strenuo tentativo di salvare l’amica, Claire tiene nascoste le sue gravi condizioni di salute. E intanto ricorre all’aiuto del collega Stéphane, che diventerà il suo confidente ed il suo irrinunciabile punto di riferimento nella sua ardua e coraggiosa sfida giudiziaria. Philippe Lioret firma un legal thriller a sfondo sociale, paragonabile, nell’argomento, a L’uomo della pioggia, però calato in un contesto ben più ampio che, soprattutto in questo periodo di crisi economica mondiale, riguarda una buona parte della popolazione. Doversi indebitare per sopraggiunte necessità materiali, e poi rimanere vittime del cinico strozzinaggio operato dalle società finanziarie è una situazione di inquietante attualità, il cui rimedio, purtroppo, non è contenuto nelle leggi scritte. Per questo motivo Claire decide di ricorrere al buonsenso, sancendo l’annullamento del debito contratto da Céline per l’evidente impossibilità di onorarlo, ma questa sentenza le costa il sollevamento dall’incarico e la minaccia di una sanzione disciplinare. Con Stéphane, il nuovo titolare del caso, Claire non cesserà mai di studiare nuove strategie: Intanto la sua amicizia con Céline si rafforzerà, la ospiterà in casa sua affidandole i propri figli, scegliendola, in cuor suo, come colei che la dovrà sostituire. Nel suo animo, il dramma della morte imminente è scacciato da una passione irrazionalmente concentrata su un unico traguardo, avente la forma di una persona in difficoltà, che pure ha conosciuto per caso, e con la quale non presenta grandi affinità. Dopo la scoperta del male che non le lascia scampo, Céline diventa la proiezione di tutto ciò che Claire spera di fare ancora in tempo a salvare: inconsciamente, all’inizio, ma poi con sempre maggiore consapevolezza, la elegge a portatrice di quella continuità biologica ed affettiva che a lei è stata negata. Céline è, in un certo senso, il futuro di Claire. Lo è dapprima in senso metaforico, come incarnazione di un’ingiustizia che è doveroso sradicare per costruire un mondo migliore; poi, diviene tale anche in senso letterale, come la donna a cui desidera consegnare in eredità il proprio ruolo di moglie e di madre. È un istinto di sopravvivenza traslato, quello a cui Claire si aggrappa per dare un significato ai suoi ultimi giorni. Per opporci alla morte, possiamo decidere di consegnare la parte più importante di noi ad un’altra persona, anche si tratta di un estraneo, a cui non ci unisce nessun particolare legame, perché è soltanto un individuo che, al momento giusto, ha incrociato il nostro cammino. Era già successo ne Le temps qui reste di François Ozon, in cui un uomo trentenne aveva accettato la proposta, proveniente da una perfetta sconosciuta, di renderla madre. L’oltre non è solo trascendenza: si esprime anche nel linguaggio un po’ triviale dell’al di qua, dove si ciba di surrogati e può violare le regole della decenza. Lo ha dimostrato, nel solito modo orridamente sublime, Lars Von Trier ne Le onde del destino: e lo ribadisce, nella sua diligente modestia, politicamente corretta e educatamente contegnosa, anche questo film, che non inventa nulla di nuovo, però, al suo messaggio di “disperato ottimismo”, dedica, con slancio e scrupolo d’artista, ogni singola inquadratura.
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