Regia di Jessica Krummacher vedi scheda film
Lei è una giovane colf, e loro sono una famiglia disfunzionale. Anzi, sono soltanto un aggregato di individui che vivono uno accanto all’altro, senza desiderare di stare vicini, senza avere nulla da spartire l’uno con l’altro. Claudia, affetta da menopausa precoce, non ha mai superato il trauma di non poter più avere figli, tant’è vero che si è procurata, come surrogato, una coppia di neonati finti, che ogni tanto prende in braccio e coccola come se fossero bimbi in carne e ossa. Suo marito sembra non avere altri interessi a parte la birra, il cibo e i due conigli neri che tiene in una gabbia di legno, in un angolo del giardino. Nicole è un’adolescente taciturna, che appare svagata, ma in realtà sa perfettamente il fatto suo, ed ama approfittare della distrazione dei suoi genitori, troppo impegnati a combattere i propri mali interiori. Il piccolo Jürgen, infine, è il classico bambino trascurato, infelice senza rendersene conto, insicuro ed irrequieto senza che alcuno se ne preoccupi. La disgregazione è un processo in atto, che non ha nome, perché non nasce da una divergenza di vedute, da un problema irrisolto, dalla mancata intesa su qualche questione. I quattro Bauer, semplicemente, stanno andando alla deriva, ognuno per proprio conto, perché la vita è fatta così, e nessuno li può giudicare. Quel movimento è la danza, lenta e casuale, della rassegnazione, della perdita di senso, dell’inerzia che subisce lo scorrere del giorni rifiutandosi di attribuirvi alcuna importanza. E intanto Fiona, la ragazza alla pari, recitando il copione delle sue attività quotidiane, deve simulare una coscienza del tempo, una partecipazione consapevole ad una realtà che assegna compiti e pone scadenze. Il film di Jessica Krummacher, regista tedesca esordiente, segue da vicino le sue vicissitudini di estranea, su cui tutti, in maniera più o meno volontaria, e a tratti tenera, a tratti violenta, scaricano le proprie tensioni: quella ragazza è, a seconda dei casi, la testimone scomoda delle loro frustrazioni, l’immagine virginale di una normalità perduta, oppure un oscuro oggetto del desiderio, la dimostrazione che il mondo è ancora disposto a regalare loro qualcosa di intatto su cui poter allungare le mani. Fiona è, per loro, l’unico contatto con l’esterno, con ciò che si trova al di fuori del loro nido infestato dagli incubi, dalle manie, dalle ossessioni di una convivenza naufragata nell’individualismo. Assistere a quello sfacelo, standovi dentro, non può essere un’esperienza indolore o esente da rischi: la presenza di un’intrusa, in un contesto situato al limite della follia, è una provocazione che può scatenare pericolosi istinti nei detentori di quella intimità patologica e fragile. Fiona ne subirà le conseguenze fisiche e psicologiche, la più devastante delle quali sarà la sensazione di essersi resa complice di quel degrado. Totem è il diario di una cameriera che, come nei celebri film di Jean Renoir e Luis Buñuel (tratti dall’omonimo romanzo di Octave Mirbeau), più che il documento di un’epoca, è la cronaca dal vivo di una decadenza consumata nel privato: ci racconta una vicenda collocata ai margini della civiltà, fuori dalla Storia, tra i cascami incolori della libertà e del benessere, entro i confini di una riservatezza che funge da desolante rifugio alla vergogna.
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