Regia di Cyril Mennegun vedi scheda film
Louise è disposta a tutto. Anche a rubare, per poter sopravvivere. A indebitarsi e perdere la casa non ci vuole nulla, per una donna sola, che di mestiere fa, a tempo parziale, la cameriera in un albergo. Per arrotondare lavora anche nelle case private. Però intanto dorme in macchina e si lava nelle stazioni di servizio. Ad un certo punto i soldi non le bastano nemmeno per comprarsi il cibo e la benzina, e allora Louise si arrangia come può. Diventa disonesta, per poter tirare avanti. La sua richiesta di assegnazione di una casa popolare è ferma da mesi. L’impiegata continua a dirle che non ci sono novità. E così la sua esistenza si trascina lungo una routine che si fa sempre più difficile ed umiliante. Ci sono situazioni in cui la fatica di far fronte alla necessità occupa la parte più importante e consistente della vita. Riuscire a farcela, nonostante le circostanze avverse, è l’unico scopo da raggiungere: un compito che si rinnova ogni giorno. Svegliandosi, alla mattina, ci si ritrova al punto di partenza, occorre ricominciare tutto daccapo, e per di più si è ben consci che le condizioni sono più dure di quelle di ieri, perché col passare del tempo le risorse si assottigliano e la stanchezza avanza. Il ritratto di Louise è fatto delle ruvide pagine di un diario sulla realtà della miseria, che cerca in ogni modo di renderti debole e privarti della tua dignità. Resistere alla tentazione di scendere a degradanti compromessi è il senso della lotta incessante di questa donna che difende strenuamente l’integrità della sua immagine, rifiutando ciò che le viene offerto con favori di stampo ricattatorio, e, all’occorrenza, prendendo di nascosto tutto ciò che le è indispensabile per non morire. Noi la guardiamo in volto, e la scopriamo sempre uguale, apparentemente imperturbabile, in realtà intensamente concentrata sull’obiettivo fondamentale che non può perdere di vista, nemmeno per un istante. Una persona come tante si trova da un momento all’altro alle prese con una missione impossibile, la cui riuscita non le procurerà alcun tipo di gloria, ma il cui fallimento significherebbe la fine. Non c’è modo di caricare questo dramma, così ordinario e sommesso, dei toni sensazionali dell’avventura. La forza che lo rende memorabile va ricercata altrove, nell’inflessibile continuità di una battaglia in cui nessuno è intenzionato a cedere, né la sfortuna, né la sua vittima innocente. L’impegno a non mollare è bilaterale, tacito ed inviolabile: è un accordo mai scritto, stipulato chissà quando, che improvvisamente introduce, nella quotidianità di Louise, un nuovo tipo di tran-tran, un’altra versione della monotonia, in cui l’immodificabilità delle cose diventa l’origine di tutto, una fonte inesauribile di dolore ed il principale motivo per abbandonarsi disperatamente all’amore. Una parentesi di eccezionale sospensione della futilità, in cui ogni gesto è investito della gravità del pericolo, dell’errore, dell’emergenza. Il documentarista Cyril Mennegun, che qui firma il suo primo lungometraggio a soggetto, ci regala la testimonianza di una storia estrema, eppure silenziosa e composta, che ci parla attraverso le sue ristrettezze ed i suoi percorsi obbligati, seguiti sul filo del rasoio, mentre la tensione è soltanto un’eco sorda che risuona nel segreto di un’anima senza pace.
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