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Caldo grigio, caldo nero

Regia di Marco Dentici vedi scheda film

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La recensione su Caldo grigio, caldo nero

di Spaggy
8 stelle

Mesociclone in arrivo. Allerta moderata. Stop.

Mesociclone passato. 50 morti e un numero imprecisato di dispersi. Niente stop.

Due telegrammi, due frasi tronche per riassumere cosa è accaduto a Giampilieri il primo ottobre del 2009 quando il caldo nero ha fatto franare più di 60 mila metri cubi di terra dalla vicina montagna sul borgo abitato. Il primo messaggio ha come mittente la Protezione Civile, il secondo ha come ipotetico mittente una comunità che chiede aiuto, in nome di una memoria troppo velocemente cancellata.

 

Piove. Governo bugiardo.

All’indomani della tragedia – solo così può essere definito – vi era la rincorsa alle promesse, chi sparava la cifra più grossa riceveva il plauso di stampa e televisioni. 40 milioni subito, 60milioni per la ricostruzione. A Natale Silvio Berlusconi chiama durante la messa in chiesa e promette serenità alle famiglie ferite. Da allora il silenzio. Nel maggio 2011 vengono bloccati anche i FAS, Stefania Prestigiacomo dichiara che non c’è un euro per le zone colpite dall’alluvione. Non è una questione di colore o credo politico. I ritratti dei personaggi coinvolti, a partire dal presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, appartengono a entrambi gli schieramenti. Destra o sinistra, non importa. Io non mi sento italiano.

 

 

Catastrofe. Popolo corrotto e abusivo.

Sono le parole di Guido Bertolaso, a capo della Protezione Civile che, anziché pensare ai soccorsi, pontificava sulle cause con una frase razzista, aizzando la popolazione verso l’indignazione. Come se in Sicilia esistessero solo corruzione e mafia.

 

 

C’erano persone di colore tra i morti?

La domanda più stupida che si rincorreva in quei giorni, come ricorda padre Jean, come se il colore di pelle determinasse priorità anche di fronte alla morte. Stesso discorso dicasi per l’età delle persone decedute.

 

Due anni.

Il tempo che è a oggi passato da quella data senza che nessuno abbia mosso un dito. Gente sradicata come quegli alberi che non hanno trattenuto la terra e il fango.

 

 

Dennis.

Il nome del bimbo che ha chiesto a un aereo della base militare di Sigonella di essere accompagnato più vicino possibile a tre stelle: la mamma, la sorellina e la nonna, morte quella maledetta notte.

 

 

25 ottobre 2007.

Cielo grigio. Come ogni grande spettacolo, anche il mesociclone, paragonabile per distruzione all’uragano Katrina, ha fatto le sue prove generali. Acqua, fulmini e terra. Nessun intervento atto a terrazzare la montagna, abbandonata dagli agricoltori. Una tragedia annunciata.

 

Devastazione post atomica.

L’attuale Giampilieri è l’ombra di se stessa. Case dirupate, palazzi fatiscenti ed erba alta a coprire strade non più percorse. Echi lontani di morte che riaffiora dal mare e passi di dispersi uditi nel buio di una bara vuota. Il timore che un fulmine possa trasformarsi in una scarica di altri 100 mila fulmini, tanti quanti se ne contarono quella notte.

 

Dignità.

Il sentimento di una popolazione che vuole ritornare a vivere nella propria comunità, simboleggiata dal ricordo della festa patronale del mese di luglio. “Se mi portate via da qui, io muoio”.

 

01 marzo 2011.

Una nuova alluvione nel messinese.

 







Caldo grigio, caldo nero di Marco Dentici ricorda, denuncia, indigna e urla apertamente. Si susseguono immagini mai viste prima di quel giorno, filmati amatoriali e delle forze dell’ordine che prestarono per primi i soccorsi. Flussi di acqua assassini che col fango ricoprono ciò che incontrano. Chiamate disperate alla stazione dei carabinieri evidenziano il panico dei cittadini e l’impossibilità di prestare aiuto a chi si aggrappa disperatamente a un relitto. Gli occhi dei bambini testimoniano il ritrovamento di cadaveri senza volto e macchine trasportate nell’azzurro del Mediterraneo, che da limpido si intorbidisce come lo Stige e traghetta anime nell’aldilà. Non c’è Caronte o San Pietro. Quella sera tutti erano assenti e Dio aveva girato lo sguardo altrove.

 

Il montaggio è frenetico e si susseguono raccordi che sembrano squarci fotografici che non avremmo mai voluto vedere. Non siamo di fronte ad una fiction, niente di inventato o romanzato: solo documentazione asciutta e persone che testimoniano se stesse. Assenti sono solo gli esponenti politici, incorniciati dentro ritratti ma che avrebbero meritato di esser raffigurati come burattini.

La musica sottolinea inerme ogni passaggio di vita interrotta tra chi ieri è rimasto sotto le macerie e chi oggi sopravvive alle macerie stesse. 

L’uso dei tre personaggi famosi messinesi – Maria Grazia Cucinotta, Ninni Bruschetta e Nino Frassica – è funzionale allo scopo prefissato: riportare lo sguardo su una realtà dimenticata, tipico sport di un’Italia menefreghista che ha bisogno del testimonial anche per una lettera al Presidente della Repubblica, colui che tutto ciò dovrebbe saperlo senza avvisi che glielo ricordino. Passato l’evento mediatico, passato l’interesse fino al prossimo tumultuoso caldo nero.                                    

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