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Il Cecchino

Regia di Michele Placido vedi scheda film

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GIMON 82

GIMON 82

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La recensione su Il Cecchino

di GIMON 82
6 stelle

Cinema d'una volta.
Asfittico,duro e rarefatto.La violenza come salvacondotto di vite braccate e tradite.Ricordi strazianti rispediti al mittente,nella Parigi di "flic" e "milieu".
Il cinema di Placido è diretto,coglie nel segno,trova e cita "generi" oramai sepolti.
La  regia diviene chiave d'uno scrigno,riapre la materia del "polar" dei Melville e Deray.Lo fa nelle atmosfere umide,di casolari abbandonati,dove avvengono abomini e sevizie maniacali.
"Il cecchino"  è un film da operazione "revival",rinverdire i fasti d'un cinema di genere,cosi' prolifico e vigoroso.Un cinema di atmosfere torbide,violente e nichiliste.
Registicamente si viaggia su binari "conosciuti",una storia bastarda,senza scampo,offerta sin dall'inizio nel passaggio d'una rapina serratissima.L'incipit soffre pero' d'un taglio televisivo,che purtroppo ricorda i tristi telefilm di mediaset,sui poliziotti "fatti in casa" per intenderci.Non ci troviamo pero' dinanzi al commissariato della Tuscolana,ma bensi' a Parigi,nei bassifondi criminali,contrastati dal commissario Mattei.
Una citta' fotografata in modo livido,attinente alle melme della malavita.
Analogicamente assistiamo a vicende ed episodi in parte prevedibili,dal taglio scontato,con cui ci si scontra,affezionandosi in parte ai personaggi.
Godibilissimo a tratti,con scene d'atmosfere ambigue,e palpabili di  tensione violenta,Placido lavora bene nel ritmo,elevato a tratti e fortemente riversato nella recitazione degli attori.C'è
Daniel Auteil che ricorda tanto il Lino Ventura del "Clan dei siciliani" di Henry Verneuil (1969),pacato e disilluso quanto basta.
Il commissario Mattei di Auteil porta in se il dolore per la morte misteriosa d'un figlio,soldato in Afghanistan,una tragedia di cui trovera' sulla "strada" le amare risposte.
La chiave filmica risiede proprio nel parterre dei personaggi,con Kassowitz ottimo,nella parte del delinquente vendicatore.Ma chi gigioneggia alla grande è il villain Olivier Gourmet,sadico e psicopatico,credibilissimo nello sfoggiare un ghigno satanico.
Il Placido d'oltralpe c'entra in parte il bersaglio,offre un film dal respiro popolare e commerciale.
Sicuramente "Il cecchino" non gode del carisma cinetico e registico di Vallanzasca (2010).Vi sono atmosfere,volti e attimi sanguinolenti,ma nel complesso manca lo spessore di "qualita'".
In "Vallanzasca" vi era una ricostruzione accurata e dettagliata,movimenti di macchina e scena magnetici,anche grazie alla performance di Kim Rossi Stuart.
IL pugliese "d'oltralpe",s'allontana dalle piazze meneghine, girando qui un buon film,ma non di quelli che rimangono scolpiti nella memoria.Si ritaglia un cameo godibile nei panni d'un falsario,arruola con sè gli inespressivi Violante ed Argentero,che svolgono il compitino del malavitoso e mogliettina.
Gli interpreti italici del "neopolar" sono poco consoni ad un contesto rarefatto e pulsante di rabbia,che si addice ad Auteil Kassovitz e Gourmet.Se poi si aggiunge l'onnipresente doppiaggio italico osceno,il film cade un gradino sotto.
Vi è pero' un finale stupendo,"Melvilliano" o "Leoniano" in senso stretto, che salva la bandiera da manifesto "deja vu" che incorre nel film.
Epilogo ambiguo,un "triello" di anime perse,nei vicoli stretti parigini,dove vincera' un umana dignita',accantonando rabbiosi istinti di vendetta..........

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