Regia di Michele Placido vedi scheda film
Mi piace la piega che ha preso il cinema di Michele Placido. Non mi riferisco a quello recitato, poiché il suo nome continua ad essere associato a produzioni di dubbio gusto, ma a quello ideato e diretto, soprattutto da “Romanzo Criminale” in avanti. Trovo lodevole il suo cimentarsi con il puro genere, tendenza che in Italia si stava lentamente perdendo ma che negli ultimi anni è tornata parzialmente in auge grazie alla dedizione di artigiani insospettabili come i Manetti bros, Zampaglione, Sollima e (pochi) altri, oltre ovviamente al già citato regista di “Vallanzasca”. “Il Cecchino”, nella fattispecie, mantiene suddette premesse e ci porta addirittura in Francia, nella patria del polar, per raccontarci una vicenda di vendette trasversali e regolamenti di conto. Non la canonica situazione da guardie e ladri che vedremmo in televisione ma un implacabile crescendo di azione che va a rimestare nel torbido di una zona grigia dove non esistono buoni e cattivi o giusto e sbagliato ma una schermaglia di tradimenti e violenza in cui il capovolgimento di fronte è l’unica vera regola alla quale attenersi per sopravvivere. Si parte da un interrogatorio faccia a faccia per tornare indietro ad una rapina sfociata in guerriglia urbana; un inferno scatenato in terra con un tiratore scelto che semina panico e feriti fra le forze dell’ordine nell’intento di coprire la fuga dei propri complici. Qualcosa va storto, qualcuno tradisce, la gente comincia a morire. Su tutto incombono passati scomodi e il sadismo implacabile di un maniaco sanguinario. Film asciutto e senza fronzoli che alterna sequenze d’azione in pieno stile Mann ad atmosfere più cupe, tipiche della scuola di Olivier Marchal. Placido confeziona a regola d’arte lavorando su ritmo, tensione e cattiveria, dimostrandosi buon conoscitore della materia e autore attento ad un intrattenimento maturo e poco consolatorio. Non tutto è ineccepibile, i meandri più oscuri dello script hanno troppe coincidenze, la componente femminile è relegata al solo ruolo di vittima e alcuni personaggi sono solo abbozzati (uno per tutti, quello di Argentero). Nel complesso però “Il cecchino” fila via come un proiettile, ben sostenuto dalle energiche prove di star d’oltralpe come Auteuil e Kassovitz. Un buon esempio di prodotto cosmopolita ed esportabile. Da incentivare e preservare.
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