Regia di David Keating vedi scheda film
C’è chi, oltremanica, per questo film si è entusiasmato. Forse è anche merito dell’ambiguità del titolo, che la presenza o meno dell’articolo determinativo the trasforma ora nel fiabesco riferimento a un bosco che non dorme, ora in un toponimo di oscura localizzazione. Questa incertezza è, di certo, una fascinosa introduzione all’atmosfera della storia, un horror romantico e crepuscolare la cui essenza selvatica affonda le radici in un paganesimo primitivo, demoniaco e magico, che può solo appartenere ai luoghi sperduti, situati al margine del mondo. Si immagina che solamente in questi isolati angoli della terra si possa segretamente compiere l’intima congiunzione tra la nascita e la morte, tra l’uomo e il resto del creato, tra il lume della scienza e il buio della superstizione. Il film di David Keating realizza questa unione in uno scenario attuale, eppure fuori dal tempo: un villaggio in cui il progresso convive con la tradizione millenaria, e il veterinario può diventare complice dello stregone. Nell’affrontare i temi legati all’inizio e alla fine della vita, la prospettiva oscilla tra la pratica medica e il rituale esoterico, tra la precisione chirurgica e la grossolanità del gesto sacrificale. L’uomo, del resto, affronta le questioni estreme con due diversi tipi di armi: la conoscenza razionale e l’obbedienza ad una fede, ossia comprendendo oppure credendo. La compresenza degli opposti si manifesta, in questo film, anche sul piano cinematografico, se si guarda agli elementi che danno vita ai punti salienti del racconto. La carne si lacera e si consuma, per un atto di violenza o un processo spontaneo, e l’anima trasmigra da un corpo all’altro: il sangue e gli spettri, ossia la cruda materia organica e la sostanza impalpabile degli incubi, sono i due volti del terrore, che qui vengono fusi nella cornice del più classico dei drammi: la tragica ed improvvisa perdita di una persona amata, la speranza stroncata dalla distruzione di una giovane vita. Si potrebbe osservare che questo film è troppo scarno, per poter arrivare a fare leva sulle emozioni dello spettatore, che si tratti di paura o compassione: ed, in effetti, la povertà di mezzi si riflette in un minimalismo atipico per il genere. D’altra parte, è però vero che in un tessuto dalla trama rada è più facile inserire le crude fibre dell’orrore, che a tratti si fanno sentire, nel silenzio, come le fitte lancinanti provenienti da nervi scoperti. (The) Wake Wood dispensa il raccapriccio a piccole dosi, e questo ovviamente scontenterà qualcuno. E resterà deluso anche chi, da questo film, si aspetta di sapere se, davvero, il miracolo di poter rivedere, per un tempo limitato, coloro che ci hanno lasciato, possa rendere più accettabile e compiuto il momento dell’addio. Questa è una risposta che non ci viene data, perché la storia ha fretta di portare a termine la sua cupa parabola di dannazione. E così, purtroppo, si chiude, nel peggiore dei modi, un discorso che, a partire da pochi scorci di vita contadina, aveva appena iniziato a comporre un allegorico mosaico della vita del cosmo.
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