Regia di J. Lee Thompson vedi scheda film
Un dramma lento e penetrante, girato su un tema sempre popolare e -anche per i più scettici- sotto sotto plausibile. Ottimo il cast, così come la regia, in grado di mantenere su alti livelli il buon soggetto.
Peter Proud (Michael Sarrazin) vive una gradevole relazione sentimentale con Nora (Cornelia Sharpe), docente nella stessa scuola in cui, anche lui, insegna. Nonostante le buone premesse, però, l'uomo sperimenta una tormentata attività onirica, che si ripete con dettagli di azioni, luoghi sconosciuti e -cosa che lo turba particolarmente- con l'esperienza di essere assassinato, in un lago, da una donna di nome Marcia (Margot Kidder). Su suggerimento del dott. Goodman, parapsicologo che studia il significato dei sogni, Peter inizia a credere di avere davvero vissuto quell'esperienza di morte: in una vita precedente. Da quando questa idea si fa strada, dettagli marginali (ma convalidanti la realtà esperita nel sogno) lo spingono a cercare indizi di vario tipo. Che arrivano dapprima in una vecchia auto d'epoca e poi con un servizio televisivo, che lo porta lontano, fino in Massachusetts.
"Cosa succederà quando si verrà a sapere? Sarà come uno shock pazzesco, poi il sollievo. Un gran senso di liberazione. Questo vuoto sarà finito: il senso terrificante che qualunque cosa l'uomo faccia deve finire in polvere." (Dott. Goodman, in merito all'esperienza sulla reincarnazione vissuta da Peter)
Da un bel libro, dal titolo omonimo, lo scrittore Max Ehrlich sceneggia un film malinconico e lento, sviluppato sul tema della reincarnazione. Dietro la macchina da presa sta appostato l'esperto e valido J. Lee Thompson, regista di fiducia di Charles Bronson e solitamente all'opera in pellicole di azione o comunque spettacolari. Ma che dimostra -almeno in questo specifico contesto- di essere a suo agio anche con tematiche malinconiche e sommesse, dove il ritmo volutamente rallentato della storia contribuisce a focalizzare l'attenzione su un contenuto puramente interiore e molto personale. Peter Proud, infatti, prende pian piano coscienza della (altra) realtà, sino ad arrivare ad accettare la nuova esistenza e porre una pietra sopra al passato. Ma ormai è troppo tardi. L'avere capito, essersi spinti troppo in là, è come scoperchiare il vaso di Pandora: almeno per se stesso e per coloro che lo seguono nella scoperta. Di sicuro la maledizione colpisce anche l'infelice Marcia, già devastata dai sensi di colpa e -per un beffardo gioco del destino- costretta a ripetersi in una azione delittuosa che leggi misteriose, lontane dalla comprensione umana, vogliono essere cosa ciclica. Trasportati da un clima di calma spaventosa, tra squarci di lucida follia (l'anziana mamma di Curtis, che riconosce davvero il figlio, anche se reincarnato), assistiamo, impotenti, all'evolversi di un ciclo di esistenza più che misteriosa, avvolta dal dubbio, affossata nella ricerca e precipitata nel dolore della conoscenza. Conoscenza che talvolta è fonte inarrestabile, nemmeno con la morte -forse solo con la follia- di profonda, invadente, intensa e penetrante infelicità.
"Me ne andrò subito al lago, per liberarmi del mio ultimo sogno." (Peter Proud)
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