Regia di Alessandro Comodin vedi scheda film
Giacomo,diciottenne sordomuto, e la sua amica Stefania trascorrono, nella epidermica vicinanza di un'intesa fatta di sguardi e rade parole, i giorni rarefatti di un'Estate nella campagna friulana, tra le gite al lago e le serate in balera, imparando a conoscersi e riconoscersi nelle reciproche titubanze e i rispettivi silenzi.
Piccola co-produzione indipendente italo-franco-belga, il film del giovane Alessandro Comodin è una interessante e singolare docu-fiction in presa diretta che presenta, con i toni leggeri e poetici del racconto di formazione, una storia di ordinaria diversità in cui le limitazioni alla comunicazione del suo giovane protagonista rappresentano il paradigma per una manifestazione di emozioni e sentimenti di una stagione della vita estranea al dominio totalizzante della parola e del linguaggio e dove il prevalere dell'istinto e della libertà sono le tappe obbligate di una crescita emotiva e psicologica che conduca alla maturità della vita adulta.
Se è vero che il film pare eccessivamente autoreferenziale nel suo linguaggio minimalista da cinema verità con ambizioni autoriali, è anche vero che la soggettiva mobilissima di una camera a mano che tallona da presso i suoi giovani protagonisti è il risultato di una tecnica cinematografica già compiuta ed efficace, in grado di sorvolare con straordinaria vicinaza emotiva una dimensione esistenziale reale e credibile, che restituisca la mutevole e inafferrabile verità di una scoperta interiore (l'amicizia, l'amore,la sessualità,l'espressione artistica, le insicurezze adolescenziali) unica e personale. Non ostante i limiti tecnici e produttivi e l'antispettacolarità di un'operazione del genere (assolutamente unica nell'asfittico ed omologato panorama delle produzioni nostrane), il film di Comodin ci parla dei sentimenti cercando di viverli dal di dentro e superando la facile (e forse provocatoria) retorica delle diverse (e meravigliose) abilità del suo protagonista nello spostare l'attenzione dalle difficoltà di articolazione della parola alla spontanea facilità nella manifestazione dei sentimenti, ricalcando qua e là lo spiazzante lirismo di un linguaggio cinematografico più classico, attraverso l'uso accorto del montaggio e delle musiche (intra ed extra diegetiche) ed attraverso una improvvisazione recitativa che trascenda le rigide impostazioni di una sceneggiatura vera e propria.
Su tutte le scene del romantico ballo in balera e di un ritorno in bicicletta nel crepuscolo di una sera in cui un 're del mondo' capriccioso e malinconico sembra 'tenerci prigioniero il cuore'. Basterebbe questo per indulgere su di un finale che vorrebbe traslarci in una dimensione atemporale e favolistica, dove il simbolismo di una difficoltà amorosa tra i due protagonisti (questa volta ancora accomunati dalle medesime limitazioni sensoriali) sembra dare spiegazioni di una condizione pregressa, sublimando così una storia fin qui perfettamente comprensibile. Pardo d'oro come miglior film della sezione Cineasti del Presente al Festival di Locarno 2011.
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