Regia di Alessandro Comodin vedi scheda film
Giacomo e Stefania, due adolescenti, il torpore umido dell’estate, la campagna, il Tagliamento. E il dispositivo filmico di Alessandro Comodin, classe 1982, che pedina questi corpi impazienti, che preserva lo scorrere del tempo nella forma del pianosequenza, che cerca la verità nei dettagli, che della natura registra la placidità, i sussulti. È una scoperta, L’estate di Giacomo. Non solo perché si tratta di una folgorazione, di un esordio che non pare tale, del frutto incredibilmente maturo di una ricerca consapevole, ma perché è la dimensione tenera e sconcertante della scoperta quella che cerca di comunicare: Giacomo è sordo, un apparecchio acustico gli restituisce la piena rotondità dei sensi, ed è a un’esperienza sensoriale che Comodin invita lo spettatore. A cogliere questa novità percettiva, a sentire l’incantevole goffaggine dei corpi acerbi che giocano tra l’innocenza e la malizia, che s’attraggono e timidi si respingono, che vagliano, in una danza di seduzione, l’ipotesi di un amore. Non importa che L’estate di Giacomo sia documentario o finzione, perché Comodin sa che l’erotismo è già una sottile messa in scena, una recita, una strategia che, come in una stagione di Rohmer, implode nel timore sviante delle parole e si trasforma in tensione a fior di pelle. Non è un caso che i primi minuti richiamino alla mente Blissfully Yours di Weerasethakul: è la dichiarazione d’identità di un cinema erotico e locale, reale e immersivo. Bellissimo.
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