Regia di Alessandro Comodin vedi scheda film
L’estate di Giacomo è un diario per immagini semplice e un po’ frammentario di una frazione di tempo in effetti più breve di tutta una stagione a cui allude il titolo, ma non per questo insufficiente a rendere l'idea dello svago e della spensieratezza di un'epoca di riposo dopo lo studio dei mesi precedenti: il tempo dell'abbandono ai sogni e a pensieri oziosi ed erotici insieme che accompagnano una giornata di calura estiva trascorsa da un ragazzo con problemi di udito - il Giacomo del titolo appunto - tra la lussureggiante vitalità quasi abbagliante e prepotente della vigorosa boscaglia sulle rive del Tagliamento.
Attimi di spensieratezza vissuti con un’amica del cuore, la compagna più giudiziosa ma complice alla quale il ragazzo non tiene alcun segreto grazie alla confidenza che da tempo si è instaurata tra di loro.
Un'amica che conosce bene l’irruenza naturale e a tratti sin indisponente del giovane, che non si fa problemi a molestarla con i suoi scherzi bizzarri e con colpi di batteria suonata senza ritegno, con le sue cantate gutturali e primitive modulate approssimativamente senza il cesello di un udito funzionante correttamente; o ancora con il suo linguaggio nudo e crudo che non conosce compromesso e comunica la più genuina spontaneità di Giacomo, ragazzo vitale ed intelligente, curioso e franco, impaziente di vivere esperienze adulte ma in fondo ancora bambino.
Comodin gioca a fare Rohmer, e in parte gli riesce pure: gioca a girare una sua italica variante al "racconto d'estate" del celebre cineasta francese, o piuttosto un suo “Un ragazzo, 2 (e non 3) ragazze” nelle proprie terre natie, tra le acque torbide e rinvigorenti di un fiume che fugge dalla civiltà e dai condizionamenti umani, attraendo a sè pure i due giovani, quasi rapidi dalla placida carnale emotività del luogo. Comodin ha il dono di saper trascinare tutta la schiettezza della spensieratezza estiva in questo suo fortunato (per premi e una certa non consueta distribuzione nelle sale la scorsa estate) esordio registico.
Un’opera sincera e a tratti disarmante, che mostra un po’ il fiato corto, peraltro anche plausibile, della quotidiana placida banalità dei momenti sereni e spensierati di un periodo di festa in cui si può pensare a nulla e a sognare di amori e altri ameno progetti magari irrealizzabili; una storia che non c’è come nella quotidianità di ogni giorno, che permette a regista e sceneggiatori di introdurre senza nessun preambolo narrativo e con troppa destrezza una seconda ragazza, meno amica e più ninfetta per il giovane bulletto protagonista latin lover; un ingresso irruento ed improvviso che trascura anche la minima linearità narrativa, lasciando spiazzato anche lo spettatore più ben disposto a forme di narrazione meno tradizionali.
Certo proprio in queste occasioni in cui la schiettezza disarmante dell’ambientazione sovrasta sfacciatamente sulla narrazione, si intuisce più chiaramente la grandezza, la potenza espressiva e la perseveranza verso uno stile che pare naturale, di tutti i giorni, ma che al contrario richiede maggiori sforzi creativi di quelli di una fiction pura, appannaggio di uno dei più illuminati registi francesi degli ultimi cinquant’anni.
Di uno dei padri della Nouvelle Vague: quel Rohmer dallo stile così lieve e solo apparentemente improvvisato che nasconde nella freschezza della gioventù, quasi sempre al centro delle sue più recenti ed inimitabili ultime produzioni prima della scomparsa, una costruzione finemente premeditata, profondamente studiata e puntigliosa da divenire inimitabile.
Cosa che altrettanto non può dirsi, almeno per il momento, caratterizzi pienamente l’esordio curioso ma un po’ troppo irruento ed eccessivamente incurante di una forma narrativa compiuta, come quello del pur interessante e curioso Comodin.
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