Regia di Alessandro Comodin vedi scheda film
La diversità non ha bisogno di essere contestualizzata, spiegata, commentata. È un modo di essere che ci parla direttamente, attraverso la sua normalità, che rispecchia la nostra, sia pur con un altro accento. Giacomo Zulian è un adolescente affetto da un grave deficit uditivo, che si ripercuote in maniera sensibile sulle sue facoltà espressive, verbali e gestuali. È come se al naturale caos dei rumori di sottofondo il ragazzo volesse sostituire il brusio di una fantasia inquieta, che munisce ogni momento di una propria selvaggia colonna sonora, costruita con la forza trascinante di associazioni mentali composte in tutta libertà. Le sue divagazioni sono come un tartagliamento immaginifico che riempie il silenzio sottolineando, con la sola forza di un pensiero sfrenatamente creativo, gli stati d’animo, le suggestioni ambientali, le riflessioni sugli eventi. I suoi artistici e strambi arabeschi, tracciati con le parole ed i movimenti del corpo, non sono un finzione scenica, bensì la manifestazione del suo vivace rapporto col mondo, fatto di curiosità e di stupore, ed animato da un gran voglia di partecipare al suo affascinante disordine. La prigione insonorizzata in cui è rinchiuso a causa della sua malattia è un luogo troppo austero ed angusto per un giovane che sta crescendo e comincia a percepire il sapore stuzzicante dell’età adulta. Giacomo ne evade, istintivamente, trasformando ogni aspetto della realtà in un dettaglio interessante a cui conferire un tocco personale. In questo film non esistono tempi morti, né situazioni anodine, perché ogni istante è attraversato dalla tensione ribelle di un essere umano che non riesce a stare tranquillo, ad accettare la monotonia e la disciplina, che tolgono alle cose il suono pulsante della vita. Giacomo affronta il nuovo con una costante volontà di indagare, confrontare, comunicare le sue impressioni, diventando così il protagonista assoluto di ciò che gli accade: attraversare un bosco con il mal di piedi, cantare e ballare al suono di una batteria, scherzare con una sua amica sulla riva del fiume. L’obiettivo di Alessandro Comodin lo segue passo dopo passo, in questo suo itinerario di scoperta, dimostrando che in esso, davvero, non v’è nulla da buttare, poiché nessun istante risulta superfluo o insignificante. Lo testimonia la struttura delle riprese, basata sui campi lunghi e su interminabili piani sequenza, che colgono l’insieme da una prospettiva imparziale, eppure appaiono sempre inequivocabilmente centrati sul soggetto principale del discorso: Giacomo e il suo amore per la vita, che fa di tutto per essere capito, ed è sicuro di avere successo, senza mostrare alcun timore di risultare strano o inadeguato. Questa è la sua versione della spregiudicatezza, che si affaccia al futuro con una prorompente carica di entusiasmo e di fiducia, forte della sua capacità di rendere ricco e sorprendente ogni attimo, impedendo che trascorra invano. L’estate di Giacomo è solo un frammento di un progetto cinematografico ben più ampio, che ha impegnato gli autori per circa due anni. È un documento monotematico, di carattere vacanziero, realizzato nei luoghi dell’infanzia del regista, in una zona di campagna attraversata dal Tagliamento. Eppure è un pezzo di vita vissuta che racchiude, per intero, il senso di una completezza che prescinde dagli handicap fisici e riesce, con genio e generosità, a dare un po’ di sé a tutto ciò che incontra.
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