Regia di Nadav Lapid vedi scheda film
L’onore ed il senso di appartenenza ad un grande paese sono tutto per Yaron, poliziotto delle forze speciali israeliane. Le sue parole, “questo è il più bel paese del mondo”, pronunciate ad inizio pellicola, descrivono appieno il suo mondo; la posa in compagnia dei suoi colleghi ed amici dopo una scalata in bicicletta esemplificano invece la sua idea di patriottismo. Fatto di riti, antichi e tradizionali, che vanno sempre e comunque rispettati. Di convivialità e atteggiamenti da “macho”. Di senso dell’onore ma anche di furbizia e maschilismo. Un mondo dorato, che gli permette di fare il suo lavoro senza porsi problemi di sorta. Ogni nemico di Israele è un suo nemico. Nessun dubbio è ammesso.
La necessità del regista israeliano di caratterizzare le diverse anime che compongono il suo paese si rispecchia nell’accorta messa in scena del film, asettica al limite dell’introspezione, caratterizzata da una fotografia slavata come la secchezza dei brulli paesaggi desertici che circondano la città di Tel Aviv. Anche la sceneggiatura e i dialoghi (dello stesso regista) seguono la stessa minimale linea d’indirizzo: gli interni utilizzati, sottilmente splendenti nella loro modernità e nei loro colori chiari, non creano contrasti palesi con le invece focose motivazioni dei personaggi rappresentati, quasi tutti (in)coscienti che le loro scelte li porteranno al fine ultimo, a morire per i loro ideali.
Perché Israele, apparentemente immobile come i pacati piani-sequenza accortamente utilizzati da Lapid, ci viene descritta in balìa di un momento di feroce disillusione, storica e politica. La realizzazione da parte di una fetta sempre più ampia della popolazione che la terra promessa (dopo l’immane catastrofe della Shoah) è in realtà una terra insanguinata e sotto assedio, che gli oppressi del passato si stanno trasformando negli oppressori odierni (o futuri) e che la “soluzione” del conflitto non è vicina, spinta lontano dalle urla e dalle violenze degli opposti estremismi arabo-israeliani. Un paese sull’orlo di un ovattato declino, con disparità sociali sempre più evidenti che hanno consentito ad un nutrito gruppo di “squali” dell’alta finanza di arricchirsi all’inverosimile a scapito delle classi sociali più basse. Nulla di nuovo sotto al sole, verrebbe da dire ad un italiano (o europeo) ma la deriva descritta nel film scava dal di dentro di una società che si pensava felice. Creando anomalie e cortocircuiti nel fiero tessuto patriottico da sempre bandiera del paese mediorientale, e la nascita di una nuova coscienza socialista in giovani nati già disillusi.
Un paese che richiede ad uomini come Yaron di risolvere definitivamente queste anomalie (esterne ed interne). Senza sapere che un semplice sguardo, pallido come la sabbia del deserto, possa far venire un dubbio. Un tarlo che potrebbe cambiare la vita di un uomo. Di un padre e della sua creatura.
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