Regia di Mathieu Kassovitz vedi scheda film
Anche se, soprattutto nel nostro paese, Mathieu Kassovitz è conosciuto più come attore che come regista, in realtà se gli si dovesse proprio attribuire un ruolo preminente tra i due (e forse se fosse costretto pure lui a scegliere uno dei due ruoli), quasi certamente prevarrebbe a mio avviso la figura del cineasta, del direttore di scene e d'attori.
Dopo l’esordio internazionale fulminante de “La Haine” di metà anni ’90 (anche se il vero battesimo avvenne con "Metisse" due anni prima), la manciata di film diretti dall’attore/regista negli anni a seguire (compresa una non particolarmente convincente parentesi americana, di fatto un po' castrata dalla presenza ingombrante delle major hollywoodiane) ha sempre incontrato pareri discordanti, illustri detrattori, caldi contestatori, ma mai nessuna opera seguita al suo esordio si puo’ dire sia passata davvero inosservata (almeno in patria, nel mondo…in Italia è un discorso diverso, desolantemente diverso…visto che solo poco più di metà dell'opera ha usufruito di regolare uscita nelle sale).
La vicenda che sta alla base di questa ultima fatica, sentita, accesa e palpabilmente accorata, fa riferimento ad un episodio drammatico che ha coinvolto la Francia circa un quarto di secolo orsono quando, nel 1988, in una sua colonia lontanissima e sperduta in mezzo al Pacifico (la Nuova Caledonia), un manipolo di locali da sempre pacifici o addirittura collaboratori, irruppe in un campo militare facendo strage di soldati, prendendo i sopravvissuti in ostaggio ed occultandoli all'interno della impenetrabile foresta della pur piccola isola. L’intervento del colonizzatore fu immediato: un drappello di forze speciali dirette dallo scrupoloso capitano Philippe Lagorjus (lo stesso Kassovitz, pure protagonista), entra subito nel vivo della trattativa per cercare di dissuadere i rivoltosi in quella che si rivela in fin dei conti una azione mirata ad ottenere la sospirata quanto apparentemente dimenticata indipendenza. La situazione pare peggiorare quando, in seguito ad un intervento di forza un po' improvvisato, il numero dei militari trattenuti in ostaggio finisce per aumentare. A quel punto l’ostinazione del comandante a portare avanti un programma che tenti di coniugare “l’ordine" precostituito a forza da un colonizzatore ormai inutile se non sotto il profilo di un assistenzialismo che tende a trasformarsi in comoda dipendenza, con "la morale" di una soluzione che rispetti ideologie e senso civico nei confronti di una minoranza con i propri sacrosanti diritti legati alle proprie abitudini e ai propri costumi”, viene a scontrarsi con le basi stesse di una democrazia che dovrebbe partire proprio dal paese colonizzatore. Ma che invece si trova a stridere con la dura ed inconciliabile realtà e la fiera ed orgogliosa opposizione dei natii delle ultime generazioni, coloro che hanno potuto finalmene studiare e pensare con la propria testa, aprire la mente a soluzioni che valicassero i limiti castranti del paese colonizzatore.
Vivo e vitale senza preoccuparsi di osservare i tempi ed i ritmi di un cinema che cerca di assecondare a tutti i costi i tempi del suo pubblico (rinnegando in un certo senso l'accennata e un po' banale o fine a se stessa esperienza americana), il film di Kassovitz vive di un racconto scandito con dinamismo che alterna bene ed efficacemente (e con effetto stordente) la cronaca di un eccidio acceso dalla disperazione e dall'impotenza di sentirsi in gabbia da troppo tempo e il racconto più tradizionalmente cinematografico del presente, spostato solo di pochi giorni, nel momento dell'intervento francese per raffreddare la rivolta e coprire nel silenzio una moto di ribellione che doveva suscitare ben più clamori di quello che in effetti è emerso dopo quello scontro breve ma sanguinoso.
Per Kassovitz il film probabilmente più sentito e per il quale più ha lottato e creduto: senz'altro un’esperienza formativa e coraggiosa, quasi un'azione di revisionismo di un recente passato già quasi dimenticato o seppellito. Un documento che mostra fieramente e senza vergogna, ma con tutta la polemica necessaria, le sue credenziali per la difesa di quei valori che lo stato colonizzatore, ma anche paladino di una delle più ostinate e convinte tra le democrazie occidentali (conquistata con la più tragicamente famosa e sanguinosa delle Rivoluzioni), ha cercato in quel caso di nascondere e di rimuovere dalla memoria di un passato per nulla lontano, ma in tutti i modi teso ad essere dimenticato o lasciato in un immeritato irrispettoso oblio.
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