Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
Mentre scorrevano i titoli di coda ho avuto, chiara, l'impressione di avere appena visto un film importante. Un film di impegno morale e civile, un lavoro di ricostruzione coraggioso anche se non esente da difetti (che più avanti andrò pure a dettagliare).
Diciamolo subito: pellicole come questa sono necessarie, perché hanno la capacità di scuotere la coscienza del singolo spettatore e perché al tempo stesso ci rendono il prezioso servizio di affrontare pagine scomode di storia patria molto recenti eppure così lontane dalle menti dei nostri connazionali.
Provate a parlare di stragismo in un consesso di interlocutori vari, magari ne trovate uno ben informato ma di contro ne avrete altri nove che vi daranno notizie confuse e contraddittorie, con sovrapposizioni di eventi lontani fra di loro geograficamente e nel tempo.
E non parliamo di persone che non erano neppure nate all'epoca dei fatti, o se vi erano stavano attraversando l'infanzia, ma anche di chi all'epoca aveva l'età della ragione.
Di quegli anni di tensione e paura si torna a parlare ogni tanto esecrandoli, giustamente, ma tentando spesso di buttare sopra il tutto la lastra dell'indifferenza del “ciò che è stato è stato, guardiamo avanti” e non ci si rende conto che i tempi grami che stiamo attraversando sono invece purtroppo maturi per far tornare quelle contrapposizioni sociali da una parte e quelle tentazioni antidemocratiche dall'altra che furono il terreno fertile per lo sviluppo di quel funesto periodo denominato “anni di piombo”
Chiedo venia per la prolusione e parliamo dunque del film. Marco tullio Giordana, partendo da un libro di Paolo Cucchiarelli e sceneggiato assieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli, affronta senza paura un argomento scottante e lo fa con un rigore storico assolutamente apprezzabile.
Si parte infatti con il raccontare il clima che si respirava in quegli anni agitati da violente tensioni sociali e le prime immagini sono proprio dedicate agli scontri tra forze dell'ordine da una parte e lavoratori e studenti dall'altra (e la prima vittima di cui si parla è proprio un poliziotto, il povero Antonio Annarumma, la cui morte si pone subito come il primo dei numerosi eventi nebulosi che attraversano la vicenda, incidente per lo scontro fra mezzi della polizia o delitto da parte dei manifestanti con un tubo di piombo, tesi quest'ultima sostenuta dalla Polizia? )
E' Il Commissario Calabresi stesso (Valerio Mastandrea qui in una della sue migliori interpretazioni, se non la migliora finora espletata in carriera) a porre il dubbio (“ma il tubo dov'é? Prima di fare certe affermazione occorre portare delle prove”). Il regista dunque lo propone subito come una delle figure positive, servitore dello Stato fedele ed onesto ma anche intellettualmente libero da voler andare oltre la verità “voluta” a tutti costi dall'autorità superiore(così come il Giudice Paolillo, Luigi Lo Cascio, in uno straziante colloquio con la vedova di Pinelli e nell'episodio del poster contraffatto). L'altra figura positiva (e altra grandissima interpretazione, quella di Pierfranceso Favino) è quella di Giuseppe Pinelli, anarchico ma anche pacifista, uno che odia la violenza e cerca di tenerla lontana dal suo circolo (il celeberrimo “Ponte della Ghisolfa”, titolo anche di una raccolta di racconti di Giovanni Testori). Calabresi e Pinelli su due lati contrapposti eppure due persone perbene, facce completamente differenti della stessa medaglia, quella dell'onestà; questo almeno è il messaggio che Giordana vuol fare passare, al punto che Calabresi di fronte all'incalzare dei giornalisti (tra cui Camilla Cederna) e alle loro domande sulla morte del povero Pinelli reagirà con sdegno affermando “lo stimavo, era una persona perbene”.
Non so se Calabresi abbia davvero espresso quella frase, certamente il fatto che Giordana lo faccia esprimere in questi termini è molto significativo.
Calabresi e Pinelli, vittime di intrighi più grandi di loro, come alcuni anni più tardi accadde per l'avvocato Ambrosoli. Calabresi che al momento del tragico episodio (ovvero, come sanno tutti, Pinelli che volò giù da una delle finestre della questura di Milano) non era neppure presente nella stanza eppure alla fine paga per un qualcosa di cui è pure lui vittima.
Se devo fare un appunto a Giordana è l'aver non dato neanche un passaggio minimo alla famosa lettera che il settimanale L'Espresso pubblicò a latere di un articolo di Camilla Cederna, lettera sottoscritta da numerosi intellettuali e che comincia così : ”Il processo che doveva far luce sulla morte di Giuseppe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferroviere ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità della sua fine, Luigi Calabresi,.......”. Non aggiungo altro, se non che vivere e lavorare in quel clima era davvero terribile.
Un altro personaggio chiave della vicenda così come è stata raccontata da questo film è quella di Aldo Moro; anche qui mi permetto di muovere un appunto al regista: un Moro (interpretato dal bravo Fabrizio Gifuni) un po' troppo sofferente isolato rispetto ai suoi colleghi di governo (e, per lo più, di partito), quasi la vittima predestinata a ciò che sarebbe successo pochi anni dopo.
Se è vero che Aldo Moro rappresentò una figura veramente fuori dagli schemi della DC di allora, resta però difficile credere a un suo isolamento così drastico all'interno del suo stesso partito.
Sulla tesi finale sposata dal regista non mi pronuncio, ma credo che ci sia molto di vero. In anni in cui all'eversione si sovrapponevano apparati dello Stato deviati e strutture paramilitari (se ne fa un richiamo in una scena breve eppure molto significativa....) appoggiate da uomini delle istituzioni, ci sta eccome.
Concludo come ho cominciato, richiamando le emozioni che il film mi aveva lasciato appena uscito dalla sala, e con il pensiero di aver visto un importante ricostruzione di un evento passato ma anche con la paura che le nuvole tempestose che si stanno addensando su questi nostri tempi possano riportarci a vivere situazioni che si speravano appartenessero ormai alla storia.
Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) "L'incendio di una fattoria è una tragedia, la rovina della Patria solo una frase"
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