Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
10 e lode a Marco Tullio Giordana per la sua encomiabile opera complessiva, partita trent'anni fa dal racconto di un reduce spaesato nel post '68 (Maledetti vi amerò) e proseguita con il racconto di molti momenti chiave della storia italiana, passati per l'uccisione di Pasolini (Un delitto italiano), la mafia (I cento passi), la strage dell'Heysel (Appuntamento a Liverpool), il respingimento di poveri e profughi sulle carrette del mare (Quando sei nato non puoi più nasconderti). Con Romanzo di una strage, Giordana - che ha scritto il copione con Rulli e Petraglia - ha il merito di riaprire un capitolo tragico e nerissimo della storia italiana, quello che avrebbe dato la stura alla strategia della tensione con la strage di Milano, alla banca dell'agricoltura di Piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969. I protagonisti di quella storia ci sono tutti: da Aldo Moro (Gifuni), di cui in quegli anni tanto la DC quanto la Nato temevano le posizioni eccessivamente concessive nei confronti del PCI (eravamo all'alba del compromesso storico) ai due personaggi chiave del giallo giudiziario: Giuseppe Pinelli (Favino), ferroviere anarchico, e Luigi Calabresi (Mastandrea), commissario di polizia poco incline alle scorciatoie. I fatti dovrebbero essere ben noti a tutti: della bomba che causò la strage vennero subito accusati gli anarchici; Pinelli, durante l'interrogatorio "venne suicidato", eufemismo per dire che fu buttato giù dalla finestra del commissariato di polizia. Calabresi entrò nel mirino dei compagni di Lotta Continua e in carcere, accusati del suo delitto, finirono Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Ma le indagini portarono anche a Pietro Valpreda (Scandaletti), un ballerino anarchico sostenitore della maniere forti, e ai fascisti veneti, Freda (Marchesi) e Ventura (Fasolo) in primis.
Il film racconta benissimo, e con piglio didascalico, il succo della vicenda, i depistaggi, le tante eminenze grigie pronte a insabbiare il complotto di Stato, il deragliamento a destra che il paese stava subendo in quegli anni, il rischio di un colpo di stato (il golpe Borghese sarebbe stato tentato l'anno successivo), l'impunità delle alte cariche. Più di ogni altra cosa, però, il film ha il merito di partire dall'ipotesi della doppia bomba e da un ordito ben più misterioso di quello che la storia ci ha consegnato. Senza avanzare pretese di protagonismo, Giordana dirige con stile sobrio e classico, affidandosi a un cast di grido nel quale, purtroppo, alcuni comprimari non sembrano affatto all'altezza delle prove maiuscole di Favino e Mastandrea.
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