Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
La visione di questo film volenti o nolenti non lascia indenni , nè tantomeno indifferenti.
E forse proprio per questo è da catalogare tra le operazioni temerarie perchè far vedere di scoperchiare il calderone delle stragi di Stato, dei servizi deviati, dei misteri della nostra storia recente è qualcosa di più che coraggioso: oserei dire che è da incoscienti esporsi in una nazione normalmente affetta da commedite acuta che da un po' di anni a questa parte sta cercando di riscoprire e rinverdire(ahimè inutilmente) la gloriosa stagione del nostro grande cinema civile.
E Giordana si astiene dal farlo, della serie "non c'ero e se c'ero dormivo.."
Dopo la sontuosa enciclopedia de La meglio gioventù( sei- ore-sei in cui si racconta in un impeto di treccanismo iperacuto un quarantennio più o meno estratto dal nostro Novecento) allora era necessaria un'altra dose di rassicurante rullipetraglismo per raccontare la strage di Piazza Fontana?
Probabilmente no, perchè la cosa che devo imputare a questo nuovo film di Giordana è il non voler prendere troppe posizioni scomode.
A partire dal fatto che si basa su un tomo controverso già radiografato e vivisezionato in lungo e in largo( Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli) e non sugli abbondanti verbali e fascicoli d'inchiesta che stanno ad ammuffire in qualche polverosa cantina di Stato.
Si guarda bene dall'assumere posizione sui colpevoli della strage (con la moltiplicazione dei pani, dei pesci, degli attentatori e delle valigette), ritrae in modo perlomeno discutibile alcuni personaggi che conosciamo sotto altre spoglie.
Abbiamo un Aldo Moro sovrarecitato da Gifuni (che cerca di mimetizzarsi in lui, quasi nascondendosi dentro di lui) che sembra un corpo estraneo al suo partito, unico illuminato sulla via di Damasco del compromesso storico, mentre gli altri notabili del partito sembrano appartengano alla masnada di predoni rivale di Alì Babà, un Valerio Borghese difensore dell'ordine patrio nel cui salotto si fanno gruppi d'ascolto agli appelli televisivi di Rumor, un Valpreda che sembra fatto di crack fino alla cima degli abbondanti capelli,un questore che ha più i modi di un mammasantissima e non di un pubblico ufficiale ,per non parlare di Calabresi e Pinelli.
Due uomini che si stimavano , che blablabla si erano già confrontati altre volte, che sembrano essere entrambi la mela buona nel cesto delle mele marce nei rispettivi schieramenti dalle parti opposte della barricata.
Puzza di agiografia ma soprattutto non c'è un nome e un cognome dietro alla responsabilità delle loro morti: cadendo in verticale da una finestra del quarto piano della questura oppure falciato vicino alla sua Cinquecentobblù con un colpo alla nuca e uno alla schiena.
Giordana pur schierandosi dalla parte della teoria del doppio attentato ( che effettivamente appare perlomeno cervellotica) sceglie di non prendere posizione su queste due morti, soprattutto su quella del ferroviere Pinelli che è ancora un mistero insoluto della nostra storia checchè ne dicano le inchieste successive.
Perchè allora trovare una soluzione alla strage di Piazza Fontana e non trovarla per la morte di Pinelli e per quella di Calabresi?
Questo il dubbio grosso rispetto a un'operazione come questa che cerchiobottando in questo modo aspira di diritto al titolo di fratello minor(ato)e di La Meglio Gioventù e degenere cugino (di campagna) lumbard di Romanzo Criminale.
Dal punto di vista cinematografico fa difetto quella passione insopprimibile che aveva fatto de I cento passi una perla del nostro cinema di impegno civile, Romanzo di una strage rende il didascalismo la propria cifra stilistica dominante proprio perchè per forza di cose Giordana ci deve elargire uno spiegone dietro l'altro.
Non ci dice nulla però sul fermento che si respirava quegli anni, sul momento difficile che stava vivendo la nostra democrazia. Ci racconta o meglio cerca di mostrarci come polvere sotto il tappeto alcuni apparati deviati dello Stato.
E poi ci sono loro Favino e Mastandrea i due volti meglio spendibili del nuovo cinema italiano che fanno il loro (s)porco lavoro al servizio di un copione che non permette loro troppe improvvisazioni sullo spartito.
Così come è meritorio il lavoro di tanti altri attori del nostro firmamento cinematografico che si spendono in camei o poco più.
Tra i vari modi per interpretare questo film di Marco Tullio Giordana a mio parere ce ne sono due dai quali non si può prescindere: giudicare quello che racconta magari indignandosi per i buchi neri di cui è cosparsa la narrazione,oppure giudicarlo come opera di fiction vagamente basata su un fatto di cronaca.
Nel primo caso Romanzo di una strage ne esce con le ossa frantumate e la prognosi infausta, nel secondo pur non avendo la brillantezza registica di altri film di Giordana e pur non riuscendo ad affrancarsi da una fastidiosa patina di fiction televisiva, forse ci si può accontentare.
A patto che poi non si vada ad indagare su quanto realmente accaduto.
Neanche su Wikipedia.
(bradipofilms.blogspot.com)
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