Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
Attenzione, ultime da ROMANZO DI UNA STRAGE, Adriano Sofri grida la sua verità dalle colonne (infami) de IL FOGLIO e di un blog 43, come gli anni trascorsi dalla vicenda. Marco Tullio Giordana smentisce di aver sposato in toto la tesi esposta dal libro IL SEGRETO DI PIAZZA FONTANA dello storico Paolo Cucchiarelli. Mario Calabresi e Gemma Capra hanno apprezzato il coraggio e l’impegno di Giordana lodandone l’opera, ma avrebbero preferito una variante sul dialogo finale tra Luigi Calabresi e la moglie. E poi “Gigi era spiritoso…nel film è tutto d’un pezzo, non sorride mai. No, non l’ho riconosciuto”. Sulle verità dell’illeggibile gazzettiere trasversale Sofri meglio sorvolare, sulle parole della vedova Calabresi ha già risposto il regista. I santini lasciamoli a Rai Fiction. Eppure dopo la visione di questa efficace ricostruzione del triennio 69-72, la tesi della doppia bomba e delle infiltrazioni/depistaggi illuminano e mi hanno convinto, nonostante alcune riserve che illustrerò più avanti. Giordana e gli sceneggiatori Rulli e Petraglia paiono aver assorbito anche lo spirito e alcune pagine dell’importante libro di Calabresi figlio SPINGENDO LA NOTTE PIU’ IN LA’, dedicato alle vittime del terrorismo. Fin da subito ci addentriamo nelle tensioni e negli animi surriscaldati di entrambe le parti (l’omicidio dell’agente di polizia Annarumma), come sottolinea il giornalista de IL GIORNO Marco Nozza al commissario Calabresi. Le riunioni degli anarchici al Ponte della Ghisolfa del ferroviere Giuseppe Pinelli, l’estromissione della testa calda Pietro Valpreda. Le preoccupazioni di Aldo Moro al Presidente della Repubblica Saragat. Le bombette degli anarchici irregolari e quelle più serie dei neonazisti veneti Freda e Ventura. Milano, 12 dicembre: la strage alla Banca nazionale dell’agricoltura 16 morti e una ottantina di feriti. Sgomento, incredulità, l’Italia del 12 dicembre perde la sua innocenza. La facile pista degli anarchici, l’ottusità e la repressione della polizia rappresentate dal questore Guida e dal capo dell’ufficio politico Allegra. Trovare un colpevole e far confessare quel nome Valpreda al Pinelli, tenuto in stato di fermo da troppo tempo. La sua assurda morte, cinque uomini a interrogarlo, Calabresi esce, Pinelli salta giù dalla finestra. Malore? Omicidio? O suicidio? Anzi “balzo felino”come sostenne la Questura. Unico responsabile Luigi Calabresi e non il tenente dei Carabinieri Lograno presente nella stanza. Vedersi a tale proposito il corto di Petri e Volontè IPOTESI SUL DELITTO PINELLI che ricostruiva le tre versioni ufficiali e accusava dell’accaduto il commissario CIA cioè Calabresi. L’informativa sul presunto passato americano del commissario nacque da un equivoco e venne fabbricata dai servizi segreti. Dunque il sensibile Calabresi diventa il capro espiatorio, la vittima di un odio politico viscerale, giustificato ma cieco contro la polizia e lo Stato. Calabresi vittima sacrificale di un sistema inquinato, partendo dal SISDE la cui opacità e piovra copre responsabilità, sposta pedine come il tassista che riconosce Valpreda e blocca giudici onesti come Paolillo. La longa manus dell’OVRA fascista non è mai morta vedendo sfilare i vari Giannettini, D’Amato, Borghese, Delle Chiaie e altri cappoccia. LOTTA CONTINUA, intanto, orchestra la campagna stampa contro Calabresi, un altro anarchico innocente pagherà un conto salato (Franco Segantini, qui assente), qualche giudice ostinato ripercorre la pista veneta e la verità prenderà corpo. “L’eversione di destra e sinistra era sempre infiltrata, qualcuno ne ha approfittato” dice Moro. Calabresi tormentato e ormai segnato forse aveva capito tutto. Secondo Giordana un sottile filo lega l’inizio della “strategia della tensione” con le morti dell’editore Feltrinelli, l’omicidio del commissario “assassino” (con cui si conclude il film) e infine Moro. “Menti di destra, manovalanza di sinistra”. A questo punto pensare che il pentito Leonardo Marino sia stato manipolato quando confessò di aver partecipato all’omicidio Calabresi tirando in ballo Sofri, Bompressi e Pietrostefani mi fa venire un’emicrania e passo il testimone alla Kaos Edizioni. Il regista suggerisce questa tesi (suggestiva ma tutta da verificare), nel contempo ne indebolisce l’impalcatura finora solida del film. In quest’opera, ripeto necessaria, apprezzabile e poco vibrante (nonostante alcuni passaggi sonori riusciti di Franco Piersanti) restano impresse le figure secondarie: il Valpreda schizzato di Stefano Scandaletti, i boriosi e letali Freda e Ventura di Giorgio Marchesi e Denis Fasolo, i lugubri e ambigui Giannettini di Fausto Russo Alesi e il D’Amato di Giorgio Colangeli, gli untuosi Guida e Allegra di Sergio Solli e Giacinto Ferro, l’austero Saragat di Omero Antonutti, il pittoresco e insieme viscido Brigadiere Panessa di Antonio Pennarella (Mangani e Panunzio di INDAGINE di Petri). Un po’ meno risaltano e convincono gli altri, soprattutto l’Aldo Moro troppo meccanico e mimetico alla Volontè (senza esserlo) di Fabrizio Gifuni. Chissà se ROMANZO DI UNA STRAGE - come nel ’95 PASOLINI UN DELITTO ITALIANO (altra opera generosa e imperfetta) - riaprirà dibattiti, processi e nuove riletture cinematografiche sul periodo narrato. Possibilmente vicini alla verità e lontani da dietrologie e rancori.
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