Regia di Paolo Poeti vedi scheda film
Il cult movie dei sorcini. Molto concerto e poco film, perché all'epoca il cinema, all'occorrenza, serviva anche per fare réclame, alla musica, ai personaggi, alle idee. E il passaggio sul grande schermo equivaleva spesso ad una consacrazione ufficiale, consegnando ad una platea di grandi e piccini tutte quelle realtà che, altrimenti, sarebbero rimaste confinate dentro il mondo esclusivo ed appartato dell'arte innovatrice, del pensiero progressista, delle mode alternative. In altri termini, il cinema riusciva a vendere, con lo scandalo e la rivoluzione, e a creare, per lo più inconsapevolmente, icone storiche, cimeli che i posteri, un giorno, sarebbero stati lieti di riscoprire. Questa favola bisex e kitsch, cucita attorno alle immagini dello Zerolandia Tour, è una storia gracile e disarticolata, però racchiude una grande anima. È un patchwork di provocazioni somministrate in pillole, tra una canzone e l'altra, secondo la collaudata formula televisiva dello sketch: alla comicità si sostituisce il grottesco, e la caricatura diventa lo strumento di una diversità militante, che si fa apertamente beffe della psicanalisi, mentre, in effetti, ne sfrutta abilmente il linguaggio immaginifico per poter parlare di sé. Contemporaneamente pratica l'autoironia attribuendosi grossolane paranoie e surreali manie: le gigantografie dei pregiudizi altrui, che diventano curiosi vezzi divistici, sottraendo terreno alle critiche (e all'interesse morboso) dei benpensanti. Paolo Poeti e Renato Zero realizzano la perfetta unione tra il varietà in formato famiglia e la commedia trash degli anni settanta, mettendo a nudo la volgare banalità che allora (e non solo) si celava talvolta dietro il concetto di spettacolo popolare: una vernice variopinta e a buon mercato, stesa sulla realtà per semplificarla e ravvivarla, senza troppo badare all'estetica e ai significati. Il risultato di questa operazione, comunque si decida di confezionarlo, è sempre un circo nel senso tradizionale del termine: una pista in cui il riso, il pianto, la meraviglia e l'orrore si mescolano senza nessun particolare criterio. è così che, in questo film, i "nuovi mostri" (l'assistente Mignolo, l'agente Dollaro, il nano creato dallo Scienziato Nero) possono convivere con la "nonnina del caffè" Nerina Montagnani (che proprio in quell'anno inizia il suo decennale connubio pubblicitario col nipote Nino Manfredi). Ciao nì! è una piccola farsa orgiastica, che risveglia la nostalgia per un tempo in cui bastava essere un po' sopra le righe per fare sensazione; e quasi ci commuove vedere la trasgressione giocare per un'ultima volta coi lustrini, prima di appendere al chiodo le sue luccicanti stravaganze ed imboccare il viale del tramonto, cedendo il passo alle battaglie libertarie.
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