Regia di Jane Campion vedi scheda film
Il film che segnò il successo di Jane Campion quando fu presentato alla mostra di Venezia nel 1990, dove vinse il Gran premio della Giuria ed ebbe molti elogi dalla critica internazionale. Si tratta di una biografia cinematografica di Janet Frame, scrittrice neozelandese dalla vita tormentata, ma non è un "bio-pic" come tanti altri: lo stile è decisamente più impressionista, con scene spesso molto brevi, come una successione di quadri staccati e di momenti speciali che hanno segnato il percorso di maturazione della Frame. Girato originariamente per la televisione e poi distribuito anche nelle sale in una versione di 158', tagliata di circa 50' rispetto a quella televisiva, non mi sembra che, in generale, soffra dei difetti di una fiction condensata per il cinema (sicuramente ci sono alcune parti della narrazione che risultano più sbrigative, soprattutto quella del ricovero negli istituti psichiatrici, ma nel complesso il film ha una buona fluidità di scrittura, soprattutto nella prima parte, quella dell'infanzia e della giovinezza di Janet, con alcune sequenze di forte pregnanza emotiva, soprattutto quelle ambientate a scuola oppure quelle relative a certi traumi familiari che dovette subire la povera Janet). Lo sguardo registico della Campion colpisce per la sua sensibilità femminile, rafforzato da una sceneggiatura dovuta ugualmente ad una donna, la scrittrice australiana Laura Jones, e quasi sempre è caratterizzato da una notevole penetrazione psicologica e dalla sapiente valorizzazione della componente paesaggistica; forse nella sezione ambientata ad Ibiza si avverte qualche luogo comune nella rappresentazione degli Europei e la breve love-story fra Janet ed un Americano appare un pò moscia, ma sono pecche tutto sommato minori. Alla Campion interessa il potere di fascinazione delle immagini, tanto che Emanuela Martini ne ha parlato come di "un grande esempio di cinema esterno, fatto solo di natura e di luce": a tratti intervengono anche alcune declamazioni letterarie e brani di poesie, ma mai in maniera statica e verbosa (c'è anche un brano dell'Ode ad un Usignolo di Keats, che anticipa l'interesse della regista su questo poeta, di cui curerà parecchi anni dopo un'altra biografia, "Bright star"). La semi-esordiente Kerry Fox regge il film sulle sue spalle con notevole bravura, ed è un peccato che in seguito si sia un pò persa per strada (la ricordiamo soprattutto in "Intimacy" di Patrice Chereau); buono anche il contributo della maggior parte dei caratteristi, volti a noi per lo più ignoti.
voto 8/10
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