Regia di Woody Allen vedi scheda film
Alla fine, quella di Benigni - Leopoldo Pisanello, che all'inizio sembra la storia più assurda, si rivela come la cosa più interessante del film: una sottolineatura dei meccanismi della fama televisiva ai tempi nostri, ben oltre le previsioni contenute nella ben nota frase di Andy Warhol, secondo la quale ognuno avrà un quarto d'ora di celebrità. La frase dell'artista americano presupponeva che alla base di questa celebrità vi fosse una motivazione, mentre Woody Allen, forte dell'esperienza di questi ultimi vent'anni, ha capito che la fama giornalistico-televisiva spesso non segue alcun criterio di merito.
Ecco, questo è, secondo me, l'unico motivo d'interesse di un film per tutti gli altri versi insignificante, inutile e da qualche punto di vista persino irritante.
Davvero Allen pensa che questa sia l'immagine dell'Italia di oggi? Pensa che la musica che la rappresenta siano ancora canzoni come Non dimenticar le mie parole e Nel blu dipinto di blu? Pensa che Roma sia ancora sostanzialmente quella della Dolce vita e che gli sposini in viaggio di nozze si comportino come quelli dello Sceicco bianco?
Per di più, in una delle storie narrate, il regista ci presenta un terzetto di studenti americani in Italia che al confronto Amanda Knox è un mostro di simpatia, ed affianca loro un bolsissimo Alec Baldwin, del quale francamente, sentivo tutto tranne che la mancanza (figuriamoci che pensavo fosse ancora il marito di Kim Basinger).
Allen cita in continuazione film propri (Provaci ancora, Sam, Broadway Danny Rose) ed altrui, mette in scena un'Italia piena di marchi italiani, dall'Alitalia alle Fiat, filosofeggia in continuazione, ma sembra dimenticare massime di senso comune come se non si ha niente da dire è meglio tacere. Per di più, l'Allen attore non parla più con la voce di Oreste Lionello, passato a miglior vita. È finita un'epoca, anche se il regista newyorkese non si decide ad ammetterlo.
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