Regia di Woody Allen vedi scheda film
Il torrente, un giorno impetuoso e a tratti travolgente,/ ora è diventato un rigagnolo che scorre timidamente/ fra sassi e muschio non più odoroso, e che, qua e là, quasi furtivamente,/ lascia intravedere piccoli bagliori di gemma, assediati da detriti plebei, che ormai invadono il letto, un tempo capiente,/ ora misera guida che stancamente/ s’avanza verso il mare.
Eh sì, che ne è di Woody Allen? Che ne è di un vero gigante del cinema, applaudito, acclamato, adorato?
E’ il lento e lungo addio di un regista al tramonto, che non ha più l’ispirazione e che galleggia, tra un film e l’altro, senza più entusiasmo, senza più genio, senza l’ausilio della Fonte meravigliosa (THE FOUNTAIN HEAD (1949) di King Vidor) cui egli stesso, e non a caso, fa riferimento?
Quando la fonte non zampilla più e lascia cadere al massimo una goccia ogni tanto, siamo alla fine e tanto varrebbe appendere la Arriflex al chiodo.
Come giudicare altrimenti questo brutto film, pieno di dialoghi ormai stanchi e stantii, di situazioni assurde e scritte male, di personaggi male assortiti, male pensati in una ridda di scene senza capo né coda?
Si può infatti rovinare l’interpretazione di un Benigni, sicuramente onorato di essere stato chiamato da Allen, ma altrettanto certamente perplesso (come del resto lo richiede la sua parte) per un ruolo così abborracciato, e, direi, sciocco?
Comparsate inutili (Ornella Muti), cameos più vicini alla commediaccia italiana peggiore (Riccardo Scamarcio) che alla commedia raffinata cui ci aveva abituato. Più che un film, ci troviamo di fronte a una sceneggiatura scritta alla buona, piena di equivoci e di gag che, non assistiti dal genio o quanto meno dal talento, diventano tessere sbiadite, nonostante l’ottima fotografia (questo sì) di un mosaico che risente pesantemente del tempo che passa e dell’antico splendore ormai al tramonto.
A voler essere generosi, oltre alla splendida fotografia che sembra dare colore e vivacità a una città che, forse, ne esce abbellita, c’è poco altro. La gag del cantante che dà il meglio di sé sotto la doccia è accettabile, se non altro perché ci fa ascoltare “Amor ti vieta” e “Vesti la giubba”.
Ma poi, ecco i soliti personaggi pieni di ansie, di fragilità, il solito Allen logorroico e complessato, la solita ragazza svagata e svampita, la solita psichiatra intellettualoide, i “soliti” italiani sempre a tavola e pronti al coltello, il Baldwin che ripete il saggio fuori campo pur presente, già visto e rivisto.
Ogni americano, colto o ignorante, ha un’idea dell’italiano che poco a che fare con la realtà quotidiana. Così come l’idea che Allen ha della Francia è più un elogio alla Belle Epoque o a quello della Parigi del dopoguerra che a quella attuale.
Roma, per Allen, è più Cinecittà che la città vera. Ecco quindi il vigile a piazza Venezia (ricordo dei film degli anni Cinquanta), l’attore che seduce la ragazza acqua e sapone venuta da Pordenone, i paparazzi, il cantante d’opera che di mestiere fa il “beccamorto” (buona la gag della mano sporca porta a Woody Allen), i tavoli a Via Veneto, la Fontana di Trevi ecc.
In America piace pensare così dell’Italia e non convincono le raffigurazioni della realtà attuale. Piace pensare al maschio latino in canottiera, alle motorette, alle zuffe, alle urla tra dirimpettai, alle tavole sempre affollate, alle processioni (ce n’è una infatti anche qui).
Forse, però, pensando a com'è ridotto oggi il nostro Paese, è meglio lasciarglielo credere.
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