Regia di Woody Allen vedi scheda film
E’ cartolina già nel titolo, anch’esso brutto, rispetto all’originale Bop Decameron, l’ultima e spensierata commedia di Woody Allen, To Rome with love.
Ci saremmo aspettati, forse, che facesse di quest’occasione, riservata veramente a pochi, ormai, quella di girare nella città di Roma, una sorta di “Midnight in Rome”. E invece non è andata così.
Il film racconta di un noto architetto americano, vissuto a Roma e che ora rivive la sua gioventù, rivisitando una delle città più belle del mondo; un borghese romano qualunque, Leopoldo Pisanello, che all'improvviso si trova ad essere la massima celebrità di Roma. Accanto a lui, una giovane e provinciale coppia di fidanzatini, attratti entrambi in incontri romanici, ma da separati, insieme ad un regista teatrale americano, che fra le sue scoperte annovera un impresario di pompe funebri, cantante.
Oltre ad essere una noiosa e popolare cartolina, il film, sin dalle prime sequenze, con “Volare” di Modugno, il vigile che ‘dirige’ altro e la gente che non riesce ad ottenere indicazioni in strada, presenta tutta una serie di figure retoriche e banali macchiette nostrane. Si ha sempre l’impressione che qualcosa debba accadere, prima o poi, trattandosi di un film di Allen, e invece, nulla succede, se non il perpetuarsi della stessa visione, come può avvenire durante la pubblicità o lo sfogliare una brossure turistica, soprattutto di quelle che devono riuscire ad attrarre i ‘visitatori’ extra-europei. Tutt’altra cosa rispetto agli spettatori, che attendono altro.
Dispiace davvero notare come “er meglio” degli attori italiani, da Roberto Benigni ad Antonio Albanese, per non parlare degli inutili cammei, vedi Dolce e Gabbana nella scena girata al Teatro Argentina, risultino sottotono rispetto a questo film degno di un’Italietta che, tuttavia, si merita di essere raccontata in tal modo. Perché, all’estero è come qui da noi: questa di Allen è l’immagine reale dell’Italia. Anche negli anni Cinquanta, Sessanta, però, esistevano i bamboccioni, quelli che evadevano, quelli che oggi chiamiamo esodati, le escort, ecc., ma erano raccontati attraverso I vitelloni, Una vita difficile, Tutti a casa, a tantissime altre commedie, ma soprattutto Roma (1972) di Fellini, a cui sembra ammiccare, ma senza alcun interesse, prima di tutto da parte di chi l’ha confezionato/prodotto un film come questo. Ora che l’Italia vive il post “bop decameron” del titolo originale, l’immagine del nostro paese che offre il film di Allen, pur essendo molto simile a quella di ogni giorno, racconta solo questa: un paese di giornalisti rincoglioniti, di scansafatiche famosi e dai soldi facili e di uomini il cui unico hobby è quello dell’arte del burlesque. Questo e solo queste sconcertanti banalità regala il buon Woody. Sarà frutto dell’esperienza di un paese in cui l’unica verità che si può raccontare è quella intorno alla pasta&sugo e alle cialtronerie? Sarà, ma anche dal punto di vista della sceneggiatura, il film è abbastanza deludente.
Non volendo peccare di provincialismo, ma possiamo senza dubbio affermare che, durante il film, si ride solo in occasione delle tre/quattro battute dalla cadenza pugliese di Riccardo Scamarcio, ladro/amante, e durante le sequenze, queste si geniali, al modo di Allen, in cui il tenore becchino trasuda il suo talento, esclusivamente sotto la doccia. Tuttavia, anche queste, spesso, si perdono nella visione d'insieme, caratterizzata com’è di pressappochismo.
La stessa città eterna diventa mera scenografia esotica, in cui convivono la pasta al sugo, la musica lirica, le rovine imperiali, i parenti religiosi con i nuovi paparazzi, la seduzione televisiva, le prostitute ribattezzate escort e le epifanie imbarazzanti e secolari del Mangia-Prega-Ama.
Alla fine, quel che rimane é un’unica verità, secondo la quale “nella città eterna niente cambia”. Nonostante i passaggi di uomini che diffondono anche al di là del Mediterraneo la giusta immagine di un paese che, comunque, rimane la patria del Decameron.
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