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To Rome with Love

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su To Rome with Love

di Spaggy
2 stelle

Qualche burlone di casa nostra, prima che Woody Allen cominciasse a girare, gli avrà inviato infinite copie dei film dei fratelli Vanzina, di Neri Parenti e magari anche di Fausto Brizzi, assicurandogli che il cinema italiano d'autore passa per quei nomi. E, tra un sonnellino e l'altro, una strizzata di cintura sui pantaloni a vita alta che gli bloccava il respiro e un bicchiere di buon vino che gli annebbiava la vista, il povero Woody ci avrà creduto e si sarà chiesto: "Posso io mai essere all'altezza di tale tradizione?". Dopo la visione di ciò che è uscito dalla sua mano, possiamo beatamente tranquillizzarlo e dirgli che lunedì prossimo sarà in testa al box office: è stato capace di tenere alto il baluardo del cinema da pop corn e birra a rutto libero, scrivendo una storia da cestinare al 75% e gettare nel dimenticatoio. Minus habens, caro Woody, ma cercati un buon traduttore che te ne spieghi il vero significato.


Le bocche buone, però, sapranno apprezzare questo soufflé mal riuscito, sapranno salvar qualcosa dal disastro in scena, da una sceneggiatura che annulla tempi e spazi e che si pone tra l'incredibile e il vuoto assoluto. Puttane, morti di fama, arrivisti e puttanieri. Memore di non so quali resoconti berlusconiani, Woody Allen descrive Roma come il centro del declino della cultura (basta sentire Ellen Page affacciata sui Fori Imperiali che moraleggia), simbolo di un degrado che coinvolge e sconvolge i valori della comune etica, come se in Italia tutto ruotasse intorno all'essenza della corruzione morale. Famiglie amorali in cui la scopata con una escort si trasforma in formazione da casa chiusa, giovani coppie che fondano il loro legame sulla menzogna e sul tradimento, comuni impiegati affetti da sindrome del Grande Fratello, il mondo del cinema trasformato in una fabbrica di donnaioli pronti a fottersi la prima fan di turno, il mito del guascone meridionale criminale e sciupafemmine, il mondo dei mass media ridotto a un effimero e desolante deserto informativo (altro che Pomeriggio Cinque o La vita in diretta e povero Tg3 ridotto a una barzelletta) e un vecchio babbione che si ostina a non volersi ritirare in pensione per non credersi morto. Luoghi comuni che, senza un vero mordente, farebbero rabbrividire anche quella culona di Angela Merkel e che ci trasformeranno nello zimbello di mezzo mondo, terminando ciò che al Cavaliere non era riuscito. Ovviamente, niente politica italiana né tantomeno situazione economica: produce Medusa. Si potrebbe sintetizzare così l'intera opera e a nulla serve infarcirla di battute autobiografiche che lo stesso Allen dosa con parsimonia.


Autocitando la sua vita privata e professionale (da Provaci ancora, Sam al doppiaggio di un personaggio dei cartoni animati, da Io e Annie alla messa in scena di un'opera lirica), Allen si trasforma in macchietta, cerca l'omaggio ma trova soltanto una porta in faccia. La stessa che gli spettatori si sentono sbattere in faccia a metà film quando il climax straniante della prima parte lascia il posto a una noia imperante che fa presagire il finale e smorza ogni attesa. A poco servono gli espedienti narrativi: il personaggio di Alec Baldwin, sagace voice over in carne e ossa, è l'unica trovata azzeccata mentre deludono le nuove generazioni. Da Jesse Eisenberg ad Ellen Page, da Alessandra Mastronardi a Allison Pil, passando per Greta Gerwig e per il terribile Alessandro Tiberi (proiezione giovanile di mille personaggi già scritti da Allen e, in qualche modo, impersonificazione dello stesso Allen), i birignao si susseguono massacrando quei pochi sprazzi di luce sprigionati da Penelope Cruz e Judy Davis, decisamente le migliori in scena insieme a un Flavio Parenti e a un Fabio Armiliato spaesati ma credibili. Inutile esprimere un parere su Roberto Benigni, svogliato come non mai e incapace di strappare quel sorriso amaro che il suo episodio richiederebbe. Verrebbe di conseguenza da chiedersi come si siano svolti i casting: si soffre nel vedere Lina Sastri, Maria Rosaria Omaggio, Vinicio Marchioni, Donatella Finocchiaro e Giuliano Gemma avere meno secondi in scena di una rinomata birra italiana. E, forse, la presenza delle varie lattine spiega il motivo di tale scempio. Forza Woody, fare di meglio è al 99% possibile. Per far di peggio, dovresti solo rovinare anche la fotografia.

Ridicolo.

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