Regia di Christian-Jaque vedi scheda film
NATHALIE
Stentiamo molto a dare la sufficienza a questo film di Anne Fontaine. Fra i pochi motivi d’accondiscendenza alla pellicola c’è, sicuramente, quello della presenza fisica della Béart, che in altre occasioni si era fatta ammirare anche per altre doti. Pure l’idea di base, piuttosto intrigante, ci ha interessato: una donna, di nome Catherine (Fanny Ardant), che scopre i tradimenti del marito Bernard (Gérard Depardieu) – solo scappatelle di nessun'importanza, dice lui – si mette in contatto con una entraineuse (Emmanuelle Béart) di un club privé.
Gli appunti da fare alla trama del film cominciano subito dopo, però. I motivi dell’approccio non sono chiariti in nessuna maniera; questo potrebbe essere un appunto di scarsa rilevanza – anzi potrebbe perfino rendere inquietante il film – se non fosse che quei punti oscuri sono privi di qualsiasi reale tensione emotiva e non portano alla luce il dramma esistenziale di una donna in crisi. Tutto si risolve in un inconcludente e sterile gioco in cui prevale un voyeurismo un po’ di maniera, in cui s’avverte un rapporto sadomaso fatto in casa, che non ha nulla della pregnanza di un gioco al massacro, ma che si limita a mostrarci per tutto il film una Fanny Ardant un po’ dimessa, con un sorriso prefabbricato stampato sul volto – non avrà per caso una paresi?, ci siamo chiesti – e che impersona il ruolo di donna che tenta di nascondere l’amarezza con l’ironia. Non va oltre, però, non si eleva da una situazione che non è chiaro se intenda superare e, se si, come. La stessa Marlène che, per richiesta di Catherine assume il nome e la personalità fittizi di Nathalie, non si rende conto esattamente di che cosa l’altra abbia bisogno e, soprattutto, di che cosa voglia da lei. La moglie si fa narrare per filo e per segno dalla prostituta, la cronaca dei rapporti sessuali che intercorrono con suo marito – rapporti che lei stessa ha praticamente organizzati – poi, a parte qualche raro commento vagamente amaro e risentito, va avanti col suo sorriso. Vuole forse imparare dall’altra i trucchetti del mestiere per applicarli a sua volta col proprio uomo, o vuole capire che cosa, che lei non ha, il coniuge possa trovare nell’altra?
Tutto si trascina stancamente, con un intellettualismo edulcorato, spento e un po’ stantio, la trama va avanti quasi per inerzia e le due donne sembrano addirittura diventare amiche, chissà, forse particolari. I frequenti malesseri che Catherine denuncia a Bernard, quando sono fuori a cena o a teatro, diventano solo pretesti un po’ stucchevoli per andare da Nathalie e continuare la cerimonia di quelle estenuanti narrazioni che, fra l’altro, non hanno nulla di piccante, anzi denunciano la banale routine degli amori prezzolati. Arriva, se Dio vuole, il finale, che non sveliamo – c’è comunque parso solo fiaccamente ambiguo, come tutto il resto – ma che, se non altro porta ad una risoluzione.
In definitiva, un’occasione e un cast in gran parte sprecati. Anche la musica, scritta da Michael Nyman – con ben diversi risultati egli aveva già dato al cinema, fra le altre, le colonne sonore di I misteri del giardino di Compton House di Peter Greenaway e di Lezioni di piano di Jane Campion – non può andare oltre un commento distratto, svogliato e poco significativo. Le donne se la dicono e se la fanno, ma chi ne esce borghesemente meglio, tutto sommato, ci è parso proprio il marito.
Theophilus
23 ottobre 2004.
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