Regia di Francesco Campanini vedi scheda film
«La casa nel vento dei morti» è un film appena sufficiente, nonostante il buon soggetto, non riesce ad arrivare ad un buon risultato finale principalmente per l'uso di attori modesti, che non riescono a rendere il film né convincente né caratteristico, ma solo mediocre.
1947, subito dopo la guerra, una banda di 4 balordi rapina un ufficio postale, ottenendo un ottimo bottino. Un bandito muore subito, gli altri abbandonano l'automobile e scappano per le montagne dell'appennino Tosco-Emiliano cercando di raggiungere a piedi la città più vicina. Si perdono, senza cibo, presto i tre iniziano a litigare. Uccidono per la via due cacciatori, cercano rifugio in un casolare che solo ad una prima occhiata appariva disabitato, in verità vi abitano 4 donne sole.
Le 4 donne si rivelano presto (troppo presto) carnefici spietate.
Soggetto e sceneggiatura sono di Luca Magri, che purtroppo si ritaglia anche la parte del protagonista: Attilio uno dei 3 banditi in fuga. Attilio è il personaggio di spicco, nel film viene tracciata la sua personalità anche troppo dettagliatamente: un ex attore del regime fascista, fidanzato con una prostituta di un casino, duro, determinato a mettersi al sicuro all'estero dopo la fuga, cerca di fare il capo della situazione. La recitazione di Magri è pessima, in alcune scene al limite del ridicolo.
La prima parte del film è decisamente noir, ha anche un suo fascino casereccio, in questa fuga disperata per l'appennino. Sulla falsa riga di «Cani arrabbiati» di Mario Bava, non si percepisce la claustrofobia del chiuso di una macchina, ma l'ansia del perdersi per le vie di boschi e vallate è definita bene. La lunga prima parte della fuga crea delle aspettative che però non vengono del tutto soddisfatte nel secondo tempo.
Le 4 donne del casolare non appaiono subito come indifese contadine, si percepisce che nascondono qualche segreto, ma non riesce il regista (forse) a creare la giusta atmosfera che il buon soggetto meritava. Si lascia troppo ai dialoghi che sono maldestri e rimediati con frasi a tratti imbarazzanti, si tralascia completamente l'uso del dialetto che a mio avviso avrebbe aiutato molto a rendere la storia più appetibile (come non pensare a «La casa dalle finestre che ridono» di Pupi Avati?). La fotografia è troppo patinata, brutti i flash-back dei ricordi di Attilio, e anche inutili, levano tempo e spazio a quella che doveva essere la parte centrale del film: la mattanza delle 4 donne, divenute loro malgrado delle serial killer per difendersi prima dai tedeschi e dai fascisti che le avevano portato via tutto (uomini, animali e cibo) e poi dai viandanti e dai forestieri che volevano approfittarsi di 4 donne «sole e indifese».
Gli altri 2 banditi sono interpretati da Marco Iannitello e Francesco Barilli, il primo è bravo anche se nella storia viene descritto come un disadattato sotto shock per un bombardamento, nello svolgimento del film questo aspetto non viene mai del tutto fuori. Francesco Barilli è il bandito più anziano, ex galeotto per aver ucciso la moglie, è quello più a suo agio nelle vesti di fuggiasco. Barilli nei titoli di testa è indicato anche come «special art director», considerato che nella sua carriera Barilli ha solo 3 film come regista, di cui uno solo davvero buono «Il profumo della signora in nero»-1974, capiamo forse meglio certe confusioni di regia. Nel film è comunque uno degli attori più bravi.
Un film quindi dagli ottimi presupposti, con un soggetto intrigante che poteva essere sviluppato con più coraggio, sfruttando meglio atmosfere e spunti storici e geografici che in un primo momento erano stati presentati e poi ignorati a vantaggio del nulla. Merita comunque una visione, sicuramente per gli amanti del genere.
Curiosità: uno dei cacciatori che i 3 banditi incontrano nel loro cammino è lo stesso regista Fancesco Campanini.
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