Regia di Kike Maíllo vedi scheda film
Il futuro immaginato da Kike Maíllo è lontano dalle geometrie vertiginose, ignaro della superficie specchiata dei grattacieli. Affonda le mani nel legno e i piedi nella neve di Santa Irene, piccolo mondo antico dove si concepisce il postmoderno. Luogo che ha visto crescere Alex Garel, ingegnere cibernetico e collezionista di invenzioni lasciate a metà. Vi fa ritorno dopo dieci anni di aggiornamento professionale e latitanza affettiva: a casa ha lasciato la donna amata, che ritrova mamma di una bambina adorabile e capricciosa, incostante e tenace, urticante e acuta. Si chiama Eva, e diventa il modello sul quale plasmare il robot definitivo: un bambino meccanico. Alex è stato chiamato a dargli un’anima, e quella curiosa eppure umbratile di Eva gli appare come la Visione di un futuro possibile. Ma la fattibilità non è condizione sufficiente ad avvalorare il fatto: instillare lo spettro sentimentale in un’armatura metallica è gesto arrogante seppur mosso dall’amore. Nell’amore nasce e si consuma la pellicola di Maíllo, che sposa superbamente la tecnologia al cuore pulsante, dell’uomo e dell’umanoide. Ti rapisce come semplice, artigianale, squisita meraviglia. Ti strazia come solo una riproduzione fedele della Vita può fare: il burattino è già vero, il suo microchip emozionale è una biglia affascinante e complessa, “naturalmente” contraddittoria. Dell’amore è creazione incondizionata e dello stesso è vittima inevitabile. Può amare e può uccidere, ma soprattutto può essere amato.
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