Regia di Kike Maíllo vedi scheda film
"Che cosa vedi quando chiudi gli occhi?" Non è un gioco, non è parte di un test: è la frase convenzionale, troppo strana per essere pronunciata casualmente durante una normale conversazione, scelta per disattivare un robot in caso di emergenza. Il cervello si blocca, per riattivarlo occorre formattare il processore, e come in un qualsiasi computer tutti i dati immessi in precedenza, impostazioni di base e memorie accumulate, sono perduti per sempre.
Università di Santa Irene, 2041: in un futuro pacifico e ovattato Alex Garel è un giovane e brillante ingegnere cibernetico che 10 anni prima aveva lasciato bruscamente la Facoltà di Robotica in cui si era formato. Ora che è famoso in tutto il mondo torna per completare un progetto da lui iniziato e che nessun altro sembra in grado di ultimare: creare il processore di un bimbo robot. Dopo essere stato costretto a pronunciare la fatidica frase per bloccare un prototipo difettoso al limite della pericolosità decide di ricominciare da zero. Alla ricerca di un nuovo modello a cui ispirarsi conosce casualmente Eva, una bambina speciale, intelligente, curiosa, reattiva: è perfetta. Scopre però che è la figlia della sua ex fidanzata, oggi moglie di suo fratello - e tutto cambia, fino al doloroso, lacerante finale.
Fantascienza umanistica è la definizione calzante per questa pellicola, riuscita opera prima del 38enne catalano Kike Maìllo. Da bambino vide una puntata di DOCTOR WHO e si mise a costruire dei Dalek con cartoni e oggetti trovati in casa; da allora gli è rimasta il pallino dei robot. Questi di EVA sono in parte robot funzionali, destinati ad aiutare gli umani in attività pratiche come pulizie, trasporti ecc., e in parte robot umanoidi, diretti discendenti di R. Daneel Oliwav di Isaac Asimov e dell'androide Data di STAR TREK: proprio perché quasi indistinguibili dalle persone obbligano il programmatore, e lo spettatore, a porsi domande tanto semplici quanto perturbanti su argomenti quali vita, morte, amore, verità, giustizia, realtà e il più importante, i limiti etici della scienza. Con la scusa di dover insegnare ad un robot come assomigliare il più possibile ad un essere umano inevitabilmente si è obbligati a riflettere sul significato di umanità.
Affascinanti le scene in cui Alex programma i cervelli utilizzando l'Hand-up, un'interfaccia grafica appositamente creata per il film, che gli permette di lavorare con alcuni pezzi di vetro a cui modifica forma, grandezza e colore, ognuno dei quali rappresenta uno dei 24 tratti caratteriali del robot. Bellissimo Gris, il gatto-robot. L'eccellente fotografia valorizza al massimo l'imprevedibilmente ottima scelta di un'insolita e straniante ambientazione fra i monti innevati della Svizzera, in un mondo molto poco high-tech, dove imperano il legno e molti rassicuranti, buoni, vecchi oggetti anni '70/'80, in una prospettiva che il regista definisce ecofuturista.
Il cast è indovinato, a cominciare da Daniel Brühl: il 33enne ispano-tedesco (era il fanatico soldato-eroe nazista Fredrick Zoller in BASTARDI SENZA GLORIA) qui è un Alex convincente. Molto brava, scelta dopo 3.000 estenuanti provini, la piccola debuttante Claudia Vega, la vivacissima nipote. Divertente Lluìs Homar nei panni di Max, il maggiordomo-robot che fa da spalla-comica nell'intento (riuscito) di alleggerire una serie di temi decisamente impegnativi.
E se qualcuno dice "Impossibile una cosa del genere, nemmeno nel 2041!" fategli leggere questo articolo del 20/7/2012 su di un 30enne ricercatore di Pisa che dal 2008 lavora ad un robot con le espressioni facciali, destinato alla “rieducazione emotiva” di bambini autistici. http://iltirreno.gelocal.it/pisa/cronaca/2012/07/20/news/l-uomo-che-da-il-sorriso-ai-robot-1.5430915
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