Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Nel nome del padre, terzo lungometraggio di Marco Bellocchio, giunge dopo Discutiamo, discutiamo, segmento del film collettivo Amore e rabbia. Il regista nell’episodio del film interpreta un docente di Filosofia che s’ispira ai precetti di Benedetto Croce. Contestato dagli studenti maoisti, per porre fine alla rivolta ricorre alla polizia che carica brutalmente i ragazzi. Istantanea free jazz (o pre punk) di una disperazione isterica che cortocircuitava movimento e istituzioni repressive, Discutiamo, discutiamo si offre oggi come la prova generale sui generis di Nel nome del padre. Alla luce della nuova versione del film emerge evidente la sua prossimità nei confronti di capolavori recenti come L’ora di religione e Il regista di matrimoni. Questa severità retroattiva che consegna di prepotenza all’attualità un film relegato ingiustamente alla sua epoca permette di osservare come gli ultimi esiti del cinema bellocchiano fossero già impliciti nell’agone degli anni 70. Accorciato dal regista dopo l’anteprima al New York Film Festival del 12 ottobre 1971 dai 115 minuti originari ai 107 della prima proiezione pubblica del 7 settembre del 1972, Bellocchio ha scelto di rimettere le mani per la terza volta su un film ambizioso e complesso oggi ridotto a 83 minuti. Transeunti (Yves Beneyton), angelo sterminatore che aspira a un superomismo tecnocratico, porta la distruzione nel collegio che il vicerettore Corazza (Renato Scarpa) tenta di controllare in tutti i modi. Il nuovo montaggio elimina numerosi momenti che servivano a sottolineare la dimensione claustrale dell’istituto: lo studente che chiede se è vero che Stalin avesse frequentato il seminario, l’uccisione della gallina, i dubbi di Franc sulla terrazza, lo studente che sogna di schiantarsi con un aereo pieno di escrementi sul collegio e, soprattutto, Gianni Schicchi che sberleffa l’invocazione «Eloi, Eloi, Lama Sabachtani?» di Gesù durante il pranzo di Natale. Girato a Roma presso l’ex liceo Massimo, Nel nome del padre, oggi ancor più di ieri, si conferma politicamente ineludibile oltre che capolavoro visionario di Marco Bellocchio, uno dei nostri creatori di forme filmiche più audaci e necessari di sempre.
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