Regia di Daniel Cohen vedi scheda film
Jean Reno ha da tempo attaccato il teschio amletico al chiodo: come attore, infatti, sfrutta il suo viso inconfondibile per gonfiare il portafoglio e lascia il suo grande talento in disparte in film di genere - preferibilmente commedie, ma anche thriller - in cui ne usa solo il minimo sindacale. E così la piacevolezza dei lungometraggi che interpreta si misura con la bravura delle sue spalle che diventano inevitabilmente protagoniste. Perché Jean è svogliato ma generoso. Qui Michaël Youn, un precario che per amore rinuncia al grande sogno di diventare chef sulle orme del suo idolo Lagarde, Reno appunto. Che tiene in piedi la baracca, come personaggio e come attore, gigioneggiando e cucinando a puntino il suo pubblico: è lui la ciliegina di una torta, a dir la verità, non buonissima. La sceneggiatura è prevedibile, il ritmo è compassato, il “contorno” un po’ insipido, ma Youn crea quella simpatia/empatia che ti spinge a rimanere a guardarlo e a tifare per lui. E tanto basta, anche perché il resto lo fa la fame che monterà, inevitabile, negli spettatori più buongustai, di sicuro felici dell’attacco senza se e senza ma del regista Daniel Cohen alla cucina molecolare e, ma con affetto, all’ossessione di cuochi, critici e grandi ristoranti per forchette e stellette. Cohen, Reno e Youn, in fondo, ci ricordano che una vecchia ricetta può essere più gustosa e appetibile di un’altra che cerca la modernità ma perde l’identità.
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