Regia di Daniel Cohen vedi scheda film
Il recente successo di alcune commedie d’Oltralpe sta portando a una vera e propria - ma non sempre giustificata - “invasione”.
Chef approda sul suolo italico con la facci(on)a della star Jean Reno sparata in primo piano sulla locandina, accanto a Michaël Youn, eclettico personaggio dello spettacolo assai noto in Francia, per noi uno sconosciuto con l’aria simpatica.
Il copione brillante va sul sicuro giocandosi la carta della strana e malassortita coppia, unita da eventi imprevedibili e che non può che scatenare un’incredibile serie di azioni folli e divertenti, sino al conciliante finale. Con tanto di ribaltamento dei ruoli: così Reno, che interpreta Alexandre Lagarde - burbero, borioso divo dei fornelli (e della tv), in crisi d’ispirazione e sull’orlo di una crisi nervi (rischia di perdere la terza stella Michelin e di conseguenza il prestigioso celeberrimo ristorante che porta il suo nome) - finisce col fare da spalla a Youn, che ha la parte di Jacky Bonnot, quasi un rain man della cucina: memoria infallibile per le ricette (soprattutto quelle dell‘ammiratissimo Lagarde), passione innata, palato sopraffino, ed irrefrenabile mania di perfezionismo, ai limiti della paranoia, cosa che lo caccia spesso nei guai ed inevitabilmente senza lavoro.
Come nel più classico degli sviluppi rilevante importanza rivestono le rispettive famiglie: Alexandre ha una figlia - brava studentessa universitaria - di cui non si cura, troppo preso da sé e dal proprio lavoro, per il quale è venuto a mancare l’amore disinteressato degli inizi; Jacky è fidanzato con una bellissima donna (Raphaëlle Agogué), incinta, esasperata dal comportamento immaturo del compagno (che non si decide a chiederle di sposarla) e dal dover essere l’unica a provvedere ai bisogni economici. E’ infatti a causa del suo ultimatum che Jacky finisce a svolgere la “tranquilla” mansione di imbianchino in una casa di riposo, ma non riuscendo il medesimo a stare lontano dalle cucine, incrocerà la strada del disperato Alexandre …
Non che manchino gli spunti interessanti o le scene allegre, derivanti perlopiù dal continuo battibeccare tra i due protagonisti e dalle pazzesche situazioni in cui si cacciano, però la pellicola sembra volersi occupare solo dell’aspetto puramente comico, solo che, essendo altresì difettosa nella scrittura, spesso scivola sui vacui e irritanti territori della farsa: la “visita” en travesti al ristorante del rivale biondo - vagamente somigliante al famigerato Gordon Ramsay - è veramente pessima, da avanspettacolo di quart‘ordine; i personaggi dei tre cuochi della casa di riposo, specie quando vengono coinvolti nelle sgangherate “imprese” dei due; l’importantissimo menù di primavera deciso in pochi minuti; l’”esperto” di cucina molecolare e i suoi macchinari e metodi; il finale, con Alexandre e Jacky a litigare in diretta televisiva (per non parlare del “ritiro” del popolare chef).
Così s’è invece persa la ghiotta opportunità di sbeffeggiare, anche in modo cattivo e spietato, acido, il mondo della cucina e dintorni. Un mondo che sta prendendo sempre più piede in televisione - è assai probabile che non passi minuto senza che su qualche canale non vi siano programmi del genere -, una moda/mania dilagante, che affolla e infesta i palinsesti con reality, talent, fiction, appendici a telegiornali, talk show, e quant’altro. E con le immancabili piccole grandi star, assurte a icone dello spettacolo. Non solo televisione, comunque, perché, come in ogni congrega di primedonne che si rispetti, imperversano invidie, sotterfugi, ripicche, ingiustizie, malaffari, ruberie.
Niente di tutto ciò perviene: i fugaci tentativi di satira affondano immediatamente nella burla (nemmeno tanto ingegnosa), oppure evaporano smentendo se stessi, come quando si prende in giro la cucina molecolare salvo poi la stessa essere di fondamentale aiuto per l’egregia riuscita dell’improvvisato menù.
Un'improvvisata, in effetti, è quello che appare questa commedia, non orrenda ma certo non memorabile né così tanto divertente, con sceneggiatura e messa in scena sbrigative, come se il tutto fosse guidato dal pilota automatico (comprese le musiche di Nicola Piovani), in modalità standard rassicurante (per il buon esito al box office), a cui si adeguano gli attori, a partire da un Jean Reno gonfiato (dev’essere una buona forchetta ...), dovendo dunque il mattatore Michaël Youn caricarsi (inutilmente) il film sulle spalle.
Chefpoteva essere un piatto d’alta scuola, invece è un brodino riscaldato da osteria. Niente di male, naturalmente, ma allora avrebbe dovuto avere il coraggio di osare.
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