Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Gli italiani si stanno estinguendo. Non è una metafora, è un fatto scientifico: Piazza Garibaldi mette in fila le cifre dell’andamento demografico del Belpaese, e il futuro del popolo italiano si va assottigliando. I bambini nati nello Stivale sono sempre meno, e nel 2050 il 60% della popolazione non avrà fratelli né sorelle, cugini o zii. È un grido d’allarme quello che lancia Davide Ferrario, che come sempre scrive, dirige e produce il suo cinema e nell’anno del 150esimo dall’Unità d’Italia, alla faccia delle celebrazioni, fotografa un Paese in punto di morte: quella fisiologica, dati alla mano, e quella d’identità nazionale. Il suo documentario è subito, sfacciatamente e appassionatamente personale: comincia dalle celebrazioni del centenario, nel 1961, quando il regista aveva 5 anni. Il viaggio che compie Piazza Garibaldi, dunque, è attraverso una memoria individuale, oltre che attraverso la Storia e la geografia di una nazione, sulle tracce della spedizione dei Mille. Da Bergamo a Marsala, non celebra la gloria del Risorgimento, ma scava nella (perdita della) memoria: dai musei che nelle teche conservano le camicie rosse, ai diari dei garibaldini che accompagnano le tappe in voce off, passando per gli adolescenti che non hanno mai sprecato il loro tempo per leggere la targa su un monumento. Come ricorda Umberto Saba (tramite la voce di Marco Paolini), forse la chiave per capire la Storia d’Italia è ricordare che gli italiani sono fratricidi. Se la commedia attuale gioca sulle divisioni sociogeografiche e dipinge un’Italia sorridente, Ferrario tenta di ricucire il Paese partendo proprio dalle sue ferite (il terremoto del Belice, le stragi di Capaci e Via D’Amelio), senza fare sconti. Dal Parlamento Subalpino di Torino, palcoscenico d’eccezione, intervengono le partecipazioni amichevoli del citato Paolini e di Luciana Littizzetto, Filippo Timi e Salvatore Cantalupo, leggendo le parole di Leopardi, Alberto Savino, Luciano Bianciardi, controcanto storico alle immagini di oggi. Avvolge e inonda il tutto la musica di Giuseppe Verdi, che culmina nella Traviata: l’Italia, secondo Ferrario, è a un passo dall’acuto finale prima di uscire di scena. Lo sguardo dell’autore è amaro e disincantato, a tratti duro da digerire, ma proprio per questo prezioso.
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