Regia di Carl Rinsch vedi scheda film
Tanto Hollywood sa raccontare (ancora, almeno a volte) molto bene storie quando si rimane all’interno dei confini americani, quanto è in grado di muoversi come un elefante in una cristalleria quando si mette in testa di confrontarsi con soggetti di origine europea e asiatica.
In questo caso si tratta di un vero e proprio (posticcio) pasticcio.
Lord Kira (Tadanobu Asano) mira al potere e grazie all’aiuto di una strega (Rinko Kikuchi) riesce ad eliminare il Signore del regno bramato facendo mettere in esilio i suoi samurai.
Quest’ultimi diventati ronin però non demordono ed insieme a Kai (Keanu Reeves) organizzano il contrattacco ben sapendo che in ogni caso il loro futuro non prevede altro che la morte.
“47 ronin”, fortemente voluto da Keanu Reeves, è stato un bagno di sangue ricercato con strenua incoscienza (175 milioni di dollari di budget, “solo” 150 incassati).
Volendo anche generosamente soprassedere sul suo essere remake di un capolavoro assoluto, non si può fare altrettanto con le scelte intraprese, questo a partire dall’introduzione che abbonda gratuitamente in effetti digitali che nell’incedere donano un tocco fantasy che poco, o nulla, calza col tenore di una storia fondata sull’onore e su di un amore impossibile.
Automaticamente diventa tutto molto stucchevole, ma se poi lo sviluppo non trova epicità non è dovuto solo a questo, ma anche ad un racconto gestito con superficialità che non riesce a sottolineare gli snodi principali rimanendo maggiormente rivolto all’effetto grafico e visivo.
Aggiungiamoci che il “buon” Keanu Reeves non ha le stigmate del valoroso eroe che si porta dentro un mare di emozioni impossibili da concretizzare (l’amore, ma anche l’essere considerato al pari degli altri samurai) e la frittata può dirsi completa, se non altro il finale non cerca assurde scorciatoie (che sarebbero state un vero e proprio insulto), ma anche qui il momento topico non è inspessito a dovere.
Davvero un disastro, difficile capire come un budget così imponente sia stato affidato ad un esordiente come Carl Rinsch, chiaramente di fronte a certe intenzioni anche eventuali grandi nomi avrebbero gentilmente declinato l’offerta, ma in ogni caso si sarebbe facilmente potuto in qualche modo ovviare, almeno nel rendere il racconto più profondo (e ci voleva davvero poco).
Indifendibile.
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