Regia di Carl Rinsch vedi scheda film
AVVERTENZA: Questa, più che una recensione o un'opinione che dir si voglia, è uno sfogo, o ancora una medicina, per chi scrive, l'unica disperata possibilità di dare alle due ore trascorse di fronte a 47 Ronin di Carl Rinsch un senso. Forse avrebbe dovuto essere qualcosa di scontato, forse andava sottinteso, ma mai la necessità si è avvertita così impellente e disperata.
Se al peggio non c'è mai fine, qui siamo a pochi millimetri dal traguardo.
Mah, uno ci prova. Tenta di farsi convincere dalle voci che circolano scoppiettanti, che talvolta bisogna pur divertirsi e che non sempre sono necessarie le visioni impegnate. Esiste pure il cinema di intrattenimento, no?, quindi imbarchiamoci in questo 47 Ronin che pure sembra essere un interessante compromesso tra la riproposizione di una storia messa già in scena dal mitico Mizoguchi e il blockbuster hollywoodiano: magari non avrà una grande qualità cinematografica, ma che importa? Magari ci si diverte, invece.
Macché, uno ci prova e non ce la fa. E i rumorini che si sentono durante la proiezione (se mai scavalcassero i tuoni assordanti di quella baracconata che è il film) non sono solo i tremolii infastiditi degli spettatori, ansiosi di lasciare la sala e magari vergognati di esservi entrati, ma anche le ossa incenerite di Kenji Mizoguchi e di un'intera civiltà giapponese del passato, che si rivoltano nelle tombe scalciando e dimenandosi, nell'evidente intenzione di cercare una vendetta migliore (anche visivamente) di quella messa in scena.
Il Giappone di 47 Ronin è l'isoletta ammaestrata dal grande cinema americano, tutta folklore e cartoline, con qualche rimasuglio di terminologia appropriata (c'è il seppuku, il bushido, e anche qualche nome e/o regione del Giappone) e un grande comparto mitologico che sembra più un ibrido di tutte le nuove pellicole più di successo da Il Signore degli Anelli a, addirittura, Harry Potter. Col presupposto di spettatori decerebrati Rinsch cerca disperatamente di fare due più due associando la celeberrima storia dei ronin di Asano alla presenza ingombrante di un inutile Keanu Reeves. Ma la matematica non è un'opinione, e gli viene fuori un risultato assolutamente sballato, deforme (non nel senso perversamente positivo del termine), pieno zeppo di banalità e di kitsch pseudo-chic che colori, costumi e ieraticità circense ribadiscono in svariate circostanze. La noia mortale si infarcisce della lordura schifosa di risvolti narrativi e pieghe mitologico-fantascentifiche che fanno rabbrividire, convinte (neanche poi tanto) della loro efficacia talmente da enfatizzare la loro forma, il loro apparire, disponendo l'intero film al percorso più paonazzo verso il ridicolo involontario. E quantomeno si ride (e si piange).
Tra le lacrime è possibile scorgere una storia che si sente costretta a mettere insieme mostri, streghe, una trama che - dài, sforziamoci - va comunque messa in scena, e un nuovo/vecchio eroe da (ri)proporre, il mitico Neo Keanu Reeves di nuovo in forma e pronto per combattere in numerose altre mosse. Ma come inserire Keanu Reeves, dal volto americanissimo, nella storia di un signore feudale giapponese che viene costretto al seppuku perché ha ferito una sorta di principe a causa dell'incantesimo di una strega? (Si prega chi non avesse visto il film di Mizoguchi a leggerne quantomeno la trama, il solo confronto fra due sintesi anche abbastanza grossolane possono illustrare la gravità e la bassezza a cui qui si è voluti scendere: per quanto riguarda un confronto costruttivo, non c'è da provarci nemmeno, ché sarebbe un altro motivo per destare dal suo sonno inquieto Mizoguchi e la sua illustre memoria). Semplice, mettiamo un inserto narrativo per cui i giapponesi sono tutti dei razzisti abbastanza schizzinosi (perché troppo legati alla loro pura tradizione, eh) e il nostro Keanu Reeves alias Kai alias vattene perché non c'entri nulla è un trovatello ritrovato, riconosciuto da Asano come speciale e fatto crescere in una catapecchia nel bosco, che tanto valeva lasciarlo morire all'inizio. Ma vai a vedere se proprio la figlia di Asano non si va ad innamorare del mitico "meticcio", su cui si abbatte l'indifferenza e l'ingiustizia di un intero popolo! Strano, però, che noi, che tanto dovremmo identificarci con questo strano-non-so-che-personaggio-sia, ci sentiamo invece tanto riveriti e accolti dentro il tendone di questo nuovo show da quattro soldi, per dunque capire che è tutto soltanto un impianto finto e artificioso nel magico mondo del cinema visto rivisto e stravisto occidentale. Non siamo mica sconosciuti noi lì, anzi, sembra che tutta la tradizione giapponese sia stata ricondotta nei canoni dei nostri gusti più conformisti! Quindi la nostra strega sembrerà una Bellatrix mutaforma dagli occhi policromi e dalle capacità ipnotiche (per non dire di quando urla il suo "Mezzosangue", neanche stesse prendendo di mira Hermione Granger), la nostra storia diverrà un viaggio che passa dalle magiche avventure della Terra di Mezzo con una parentesi tra Re Artù e monaci tibetani (qui si lascia all'immaginazione del lettore...), e i dialoghi diverranno i contesti più "appropriati" in cui si potranno ricordare le dinamiche degli avvenimenti e cosa è appena successo o sta per succedere, per aiutare lo spettatore in difficoltà e accompagnarlo nel magico mondo di quello che sembra un film televisivo spazzatura (non siamo lontani nemmeno da Hercules, a ben pensarci). Così - si riportino alcuni esempi chiarificatori - quando lo shogun dirà "Ronin" dovrà necessariamente aggiungere "Samurai senza padrone", ma non perché è solenne, ma perché ci è sfuggito di informarci prima sul significato sui nostri smartphone; quando compariranno dal nulla i ronin di Asano dovranno dire come prima cosa, confusamente "Dobbiamo vendicarci". "Ma come?". "Dobbiamo ritrovare l'onore!", cosicché abbiamo ben chiaro chi sono i buoni; e, ultimo ma non ultimo, quando si parteciperà alla lotta a mani nude fra il meticcio e un mezzogigante che sembra la versione brutta della Cosa dei Fantastici 4, su una nave anch'essa comparsa non si sa da dove, tutti gli uomini e le donne (dai tratti sorprendentemente occidentali) continueranno a urlare "meticcio, meticcio", benché quella sia la loro stessa razza e forse Rinsch non è riuscito a trovarsi altri giapponesi che si sottoponessero a questa follia e ha pagato i primi americani a disposizione. Dunque, non stupiranno più spade nelle rocce, qualche morte ridicola (la morte del grassone è un pezzo di cabaret, praticamente: "Quando ero piccolo stavo appeso ad un albero vicino alla tua catapecchia nel bosco, e ti lanciavo dei sassi, e ridevo" e il meticcio "So che eri tu, vedevo il tuo pancione sbucare", entrambi ridono e poi piangono nella nostalgia; gli sceneggiatori sono fuori a fumarsi una canna), lotte contro draghi, movimenti alla Flash Gordon e ragni sbucati fuori da una vena annerita - come nei tatuaggi dei Mangiamorte - e capaci di diffondere il malocchio della strega-puttana in questione: sarà tutto parte del gioco. E quantomeno si ride, ché siamo oltre le soglie del trash.
E' vero, il finale è come quello di Mizoguchi (con le dovute precisazioni narrative, stilistiche e pseudosentimentali), ma è vero pure che a fare seppuku siamo pure noi.
Da evitare. Per favore.
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