Regia di Apichatpong Weerasethakul vedi scheda film
Punti e linee incandescenti forano la spessa cortina della notte: sono un lampione, i fulmini di un temporale, un pallone dato alle fiamme. In questo corto Weerasethakul ripropone, in una composizione allegorica, il contrasto tra la luce e buio che caratterizza, in diversa misura, la totalità delle sue opere: si va da un film interamente chiaroscuro, come Lo zio Boonmee che ricorda le vite precedenti, alla singola scena dell’eclissi di sole inserita in Sang Sattawat. Quei globi luminosi che emergono dal fondo nero sono particelle di verità, isolate ed inespressive come le sibilline frasi di un oracolo o gli ermetici aforismi tipici delle filosofie orientali. Sono, soprattutto, enti immateriali, che non si possono tenere in mano, ma che si possono solo rincorrere o guardare da lontano. E nessuno di essi contiene una soluzione complessiva ed unificatrice, perché tutti convivono in maniera indipendente, nella loro molteplicità, come le stelle in cielo. È pero significativo che, nella scena, l’ultima luce a spegnersi sia quella del proiettore: il cinema è forse, tra le attività umane, quella più vicina alla fonte di tutte le risposte, per la sua capacità di continuare a testimoniare anche quando la realtà filmata non esiste più, oppure non è più possibile mostrarla (a causa degli interventi censori dello stato, di cui lo stesso regista è stato vittima). L’immagine catturata continua a palpitare di vita dentro la pellicola, a dispetto dell’invisibilità imposta dalla storia: un’invisibilità causata dal trascorrere del tempo, o dettata dalle aberrazioni del potere.
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