Regia di Apichatpong Weerasethakul, Pimpaka Towira vedi scheda film
Essere fuori e dentro il cinema: vedere le riprese e confonderle con la realtà quando l’occhio si trova incollato all’obiettivo. Questa è l’esperienza del regista quando gira un film. E di questa verità dal fuoco variabile, Weerasethakul conserva una memoria tinta degli stessi contrasti di luce che cerca di realizzare sullo schermo. Questo film, che rievoca i quattro anni di lavorazione di Tropical Malady, alterna il semplice incanto della notte alla tormentata evidenza del giorno. Il buio della giungla è interrotto soltanto dalla chiazza luminosa creata dai riflettori, in cui una cantante interpreta il suo brano di musica pop circondata da quattro ballerine; la luce del sole, per contro, rivela il travagliato viaggio di una giovane coppia di amanti attraverso la foresta, alla ricerca di un leggendario albero da cui i due ragazzi si aspettano la fine di tutte le loro preoccupazioni. I loro affanni recitati si mescolano, a loro volta, con i problemi pratici cui devono far fronte i vari componenti della troupe cinematografica. Intanto, nei momenti di pausa, gli uomini confessano i loro desideri e loro frustrazioni, compresi quei soldati inviati a sorvegliare le riprese, che aspirano ad un futuro migliore. Il sogno si solleva da terra come un’entità sovrana, che sfugge alle distinzioni tra verità e fantasia, perché è verità applicata alla fantasia e fantasia applicata alla verità. È una manifestazione spontanea e creativa del contenuto del cuore, che può farsi melodia da cantare e ballare – come nella canzone d’amore che viene ripetuta più volte nel film – oppure racconto da mettere in scena. Il tratto comune alla finzione artistica e alla testimonianza diretta è la capacità di produrre un’illusione di continuità: quella tra chi immagina e chi vede o ascolta, tra il pensiero di chi si esprime e l’emozione di chi assiste. Per realizzarla, è necessario un lavoro di carattere tecnico, che però chiama necessariamente in causa i sentimenti, come tutte le forme di comunicazione umana. La valenza del fare cinema come opera di intermediazione tra il concepibile e il percepibile, che traduce l’invenzione ipotetica in realtà effettiva, sembra essere il fondamento estetico della filmografia di Weerasethakul: alla base di tutto stanno i Worldly Desires, i desideri terreni, che spaziano dall’attesa del principe azzurro alla soluzione dei misteri dell’universo e che, solo sul set, possono prendere concretamente forma e fondersi in un’unità tanto armoniosa quanto ammaliante.
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