Regia di Anne Fontaine vedi scheda film
E allora, diciamolo. La nuova commedia francese, salvo eccezioni rare, dai trionfi di La cena dei cretini e Giù al Nord a Niente da dichiarare? fino a Quasi amici e, adesso, a Il mio migliore incubo!, non riesce a fare a meno degli opposti. Vale a dire della coppia di personaggi antipodali - socialmente, intellettualmente, caratterialmente - costretti però alla convivenza, o per lo meno alla conoscenza. Lo schema è da una parte ripetitivo e prevedibile, dall’altra permette infinite variazioni. Nel caso del film della lussemburghese Anne Fontaine (anche sceneggiatrice con Nicolas Mercier), a respingersi e ad attrarsi sono una donna dell’alta borghesia parigina, Isabelle Huppert, insopportabile e frustrata come da copione, e un proletario (letteralmente: la sua più grande risorsa è il figlio piccolo genio), Benoît Poelvoorde. Il quale irrompe nella vita di Madame perché i rispettivi pargoli sono compagni di scuola, facendo risaltare con la sua schietta, virile e materiale simpatia la patina di ipocrisie che avvolge un mondo più o meno dorato, ma falso come Giuda. A essere irritante di Il mio migliore incubo! è proprio lo schematismo “ideologico” attraverso il quale Anne Fontaine, che si identifica con la Huppert ma idealizza Poelvoorde, arriva a demolire tutte le sovrastrutture culturali, urbane e borghesi, a partire dalla scuola, in nome della spontaneità “ignorante” dell’idiot savant. Discorso pericolosetto coi tempi che corrono e anche, inconsapevolmente, reazionario. Poi, va da sé: nonostante qui sia tenue la pulsione sessuale che rendeva invece calamite Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto di Lina Wertmüller, i rispettivi “esotismi” estremizzati dei due protagonisti garantiscono un minimo divertimento: lei così affettata e rigida, lui così... buzzurro. E se Benoît Poelvoorde conferma una volta di più di essere un corpo comico eccezionale e versatile, è soprattutto Isabelle Huppert a fare un grande lavoro su se stessa, radicalizzando l’immagine proverbialmente rigida che si ha di lei per poi stravolgerla con le sfumature della commedia.
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