Regia di Anne Fontaine vedi scheda film
Non è nuova, né originale l’idea della regista di raccontare la storia di due persone che più diverse non potrebbero essere, immaginando la nascita di un legame d’amore fra loro così profondo da ignorare ogni diversità di classe e di cultura
Qui sono un uomo e una donna le persone che – casualmente incontratesi durante un consiglio di classe – scoprono, dopo un’ iniziale reciproca antipatia, di non poter più far a meno l’uno dell’altra, pur rimanendo se stessi, ovvero mantenendo inalterate le diversità profonde che li connotano.
Lei, Agathe (Isabelle Huppert), è una raffinata e algida signora parigina di mezz’età, che dirige con competenza e cultura una Fondazione d’arte contemporanea; lui, Patrick (Benoît Poelvoorde), è un rozzo perdigiorno, senz’arte né parte, col chiodo fisso delle donne, possibilmente formose, secondo un suo ideale esclusivamente quantitativo della bellezza femminile.
Da questi presupposti di solito non nasce una storia d’ amore; in questo caso, infatti, sembra nascere soprattutto una storia di sesso, favorita dalla lunga castità di lei, che, diventata madre, aveva chiuso la propria vita sessuale, dedicandosi esclusivamente a organizzare il suo tempo da manager instancabile, e dimenticando completamente la propria fisicità.
Questa storia difficile viene raccontata in modo banale e volgarotto dalla regista, che mi è parsa del tutto priva di quella capacità di analisi introspettiva che caratterizza spesso i suoi film, cosicché chi si era aspettato di vedere un’opera di qualità ne sarà deluso né riuscirà a comprendere per quali misteriosi motivi attori famosi e raffinati abbiano sprecato le loro capacità e il loro nome in un’ impresa di gusto così dubbio.
Notazione (non)marginale: incomprensibile la traduzione del titolo originale: Mon pire cauchemar ovvero Il mio peggiore incubo diventa il mio migliore incubo, trasformando una frase molto semplice in un ossimoro spoilerante…
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta