Regia di Tarsem Singh vedi scheda film
Biancaneve nell’etereo incarnato di Lily Collins non si veste di stracci e non attinge l’acqua al pozzo. L’ha rinchiusa nel castello la Regina Julia Roberts, che quando affermò di «volere la Favola» batteva sui boulevard losangelini di Pretty Woman, ignara di quanto puoi guadagnare con la riscossione di tributi ad hoc. Se tiene prigioniera la pallida 18enne non è per invidia di gioventù quanto per amor di bella vita (chi glielo dice, alla ragazzina, che ai sudditi manca il pane per finanziare le regali brioche?). Il principe azzurro si fa derubare dai 7 nani, che alla miniera hanno preferito il brigantaggio; la matrigna inanella gag di (sado)masochistico cinismo (se bella vuoi apparire...); la fuga salvifica della fanciulla passa attraverso l’arte del fioretto e l’assalto alle carrozze. Ma non è il femminismo: è Hollywood. Rima con Bollywood nello sfarzo di scenografie e costumi e in un finale canterino (non uscite dalla sala sui titoli di coda!) solo apparentemente fuori traccia. Il film è tessuto a grana grossa, una mano al glamour e l’altra alla cosciente demenza, in una ronde che strizza un occhio ai buoni sentimenti e tiene l’altro ammiccantemente socchiuso. Come Bianca quando, alla fine, dice no alla mela. Se ogni storia è incuneata tra le pieghe di ciò che precede e quel che sarà, la fiaba fluttua tra la Terra di Nessuno e il Patrimonio di Tutti. Questa è la versione di Tarsem, e ai bambini farà molta meno paura del Capolavoro Disney.
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