Regia di Jim Sheridan vedi scheda film
Premessa: l’irlandese Jim Sheridan - un tempo regista d’impatto sociale nei vari Il mio piede sinistro, Nel nome del padre e In America. Il sogno che non c’era - ha disconosciuto questo lavoro dopo lo scempio in sede di montaggio imposto dalla Morgan Creek Productions, rea di avere sforbiciato la pellicola senza contattarne l’autore. La sopraffazione ha contribuito ad affossare del tutto un’opera già distante anni luce dalle vette dello spavento in sottrazione, scandita da vuoti di sceneggiatura inseriti in un intreccio mistery prevedibile, con tanto di assassino identificabile alla prima apparizione. La narrazione segue direttrici già viste, con la classica famigliola della provincia Usa tartassata da inquietanti presenze di ritorno dal passato. Sheridan dà il meglio nella cornice, fotografando in toni freddi l’inverno innevato e muto della periferia newyorchese (nella realtà, l’ovattata location canadese nell’Ontario). La suspense melodrammatica in interni, invece, presta il fianco a soluzioni di tensione scolastiche, se non puerili, tra facili sobbalzi, costanti sfrigolii sonori in situazioni di pericolo, escursioni della macchina da presa nel cortile a ribadire una minaccia esterna e un’evitabile citazione in corridoio delle bimbe di Shining. Se le 2 W di Weisz e Watts funzionano, l’ingessato Craig va restituito al più presto ai panni di James Bond. Dream House, in definitiva, conferma le recenti difficoltà americane nella sottile arte del thriller metafisico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta