Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Mondi alieni
La “moda” del prequel nel 2012 catturò anche il buon Ridley Scott (che ci prese anche gusto, con l’uscita nel 2017 del seguito del seguito “Covenant”), che decise di tornare sui luoghi teatro delle vicende (già) sommariamente narrate nel capostipite del 1979 sull’alieno forse più famoso della cinematografia mondiale. Si parte da lontano: da una luna orbitante intorno al pianeta Calpamos che ci mostrerà le origini della letale creatura.
33 anni non sono passati invano, anche la (saggia) mano del regista americano decide pertanto di ammodernare il suo universo fantascientifico alle modalità di fruizione moderna: un ritmo meno enfatico e stasi narrative ridotte al minimo. Emblematico di questo nuovo approccio il veloce percorso dell’antefatto narrativo: dalla scoperta delle iscrizioni nella grotta al viaggio interstellare trascorrono forse di poco i dieci giri di orologio di pellicola. Una resa frettolosa (seppur gestita con la consueta maestria tecnica) che, a parere di chi scrive, poco si adatta allo stile evocativo del regista.
Si prosegue poi con un netto, un po’ confuso (lindelofiano ?), sbilanciamento sul versante action, dove le vicissitudini della protagonista e dei suoi compagni ci accompagnano nella consueta mattanza a favore non del (mitico) mostriciattolo ancora “in nuce” ma di una serie di alter-alien la cui presenza risulta forzata e poco sceneggiativamente plausibile. Anche la stanca ripresa tematica della figura dell’androide “umanizzato” (principalmente inaffidabile e, per intenderci, avulso dall’osservanza delle [famose] 3 leggi della robotica asimoviane) poco aggiunge ad un plot poco incisivo, forse anche per la scarsa e svogliata adesione attoriale di Michael Fassbender al personaggio (la melliflua inquietudine trasmessa dal Ian Holm/Ash [seppur “in disguise”] nel capolavoro del 1979 era oggettivamente un’altra cosa).
Rimane comunque sufficientemente ben gestito un ritmo pesantemente indiavolato e, tra le cose da ricordare, l’ottima scena madre (al livello degli antichi fasti per sintesi e resa) del parto/aborto meccanizzato della protagonista Elizabeth Shaw/Noomi Rapace oltre che una discreta capacità filologica (almeno “strutturale”); da rivedere la scelta degli attori coinvolti (alcuni fuori parte/contesto) e completamente da dimenticare la sequenza di sacrificio a “mani alzate” del pre-finale.
Verso l’infinito e oltre…
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