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Prometheus

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Prometheus

di George Smiley
8 stelle

Quanti fiumi d'inchiostro sono sgorgati dalle penne di critici e cinefili per parlare di questo film, quante dispute anche piuttosto accese ci sono state tra fazioni contrapposte di spietati detrattori e ancor più determinati difensori, quante discussioni su chi fosse il più coglione tra Damon Lindelof e Ridley Scott, quanti processi fatti per stabilire a chi spettasse la colpa del mancato rispetto delle aspettative di una fanbase tra le più esigenti e difficili da accontentare (è dal 1993 che brontola incessantemente). E in effetti un po' di rammarico c'è, per lo meno per quanto riguarda la speranza di poter vedere un lungometraggio che se la giocasse alla pari con i due titani che lo hanno preceduto, per non dire che fungesse da nuovo spartiacque per un genere, la science fiction, un po' alla canna del gas nell'ultimo decennio (per non dire quindicennio). Così non è stato. Amen. Colpa soprattutto di una sceneggiatura francamente debole e che non regge minimamente il confronto con il copione a prova di bomba di Alien. Nè per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi (qui troppo numerosi e con quelli secondari ridotti a mera carne da macello), nè sul piano dei dialoghi (anche se a onor del vero molti scambi verbali e molte battute sono piuttosto affascinanti, soprattutto quelli riguardanti l'androide David), nè su quello della coerenza narrativa (c'è più di un buco) e dell'attendibilità scientifica (ma su questo si può facilmente sorvolare; in fondo trattasi di FANTAscienza e di quella particolarmente fantasiosa, soprattutto nei frangenti in cui i protagonisti entrano in contatto con una tecnologia aliena alquanto criptica), nè tanto meno per quanto concerne la portata storica (come dice M Valdemar: imparagonabili. Prometheus è un film del tutto derivativo non solo rispetto al capostipite della saga ma anche per quanto riguarda la filmografia del suo regista, nulla a che vedere con quella rivoluzione su celluloide che sono stati Alien e Blade Runner e per certi versi anche Legend). E allora il verdetto qual è? Colpevole?...Ma di che in fondo? Perché fatte queste doverose premesse, mentirei se dicessi che Prometheus è un film brutto o anche solo mediocre. E qua entra in gioco il regista, quel regista, l'unico regista, l'unico in grado di tirare fuori un film notevole anche da una sceneggiatura traballante. Perchè, per quanto le opinioni possano variare da spettatore a spettatore, nessuno può dire che Prometheus sia un film che lascia indifferenti. A trentatrè anni dal suo capo d'opera, il vecchio Ridley Scott riprende in mano il genere di cui è stato ed è tutt'ora indiscusso maestro, anche più di Stanley Kubrick, anche più di Andrej Tarkovskij, persino più di Fritz Lang. E ancora una volta non si può non constatare che è semplicemente fatto per la fantascienza. Dopo tre decenni si reimpossessa del suo cinema e il suo tocco visionario può tornare a risplendere, oltre ogni buco di sceneggiatura, oltre ogni incongruenza narrativa, al di là di qualsiasi limite della scrittura. Perchè il suo cinema è pura esperienza visiva, semplice estasi per gli occhi, indefinita magia della visione. Ridley ci prende per mano e ci conduce attraverso lo schermo su pianeti vergini in attesa di essere fecondati da qualche cosmonauta di mondi sconosciuti, ci fa viaggiare nello spazio verso galassie poste a distanze siderali, ci fa atterrare su satelliti inesplorati, ci accompagna nell'esplorazione di antichi templi alieni abbandonati, ci costringe a vivere l'orrore incomparabile ma irresistibile dell'ignoto, di ciò che sta al di fuori della nostra comprensione, ma come un padre generoso ci ricompensa permettendoci di stringere in una mano per qualche momento l'universo intero. E fatto questo si riparte verso una meta ancora ignota.

 

La preponderanza dell'immagine su tutto il resto è il fulcro della poetica scottiana, e anche se il suo estro visionario non è più quello di una volta, non può più essere quello di una volta, egli ripercorre i passi che lo hanno reso grande e che hanno fatto la storia del cinema. La messa in scena è maestosa e curatissima: lo spettatore si perde in mezzo alle imponenti scenografie; le locations scelte mozzano il fiato come nel caso del prologo, bellissimo, fra i paesaggi dell'Islanda; la fotografia si riappropria della sua tipica consistenza eterea, illuminando di una luce fredda e bluastra ambienti dal design prima asettico e industriale e poi biomeccanico e viscidamente extraterrestre; l'uso dei colori e la maniacale cura del dettaglio sono quelli di un tempo; gli effetti speciali sono un connubio tra vecchio e nuovo, con quelli analogici che fungono da gradito tratto d'unione tra la tradizione e la modernità, e quelli digitali che annullano quanto fatto prima di essi (Avatar compreso), davvero impressionanti e per una volta messi a servizio della storia e non viceversa (e detto da uno che non ama particolarmente la computer grafica è tutto dire); la colonna sonora di Marc Streitenfeld è ottima, ma a rapire è lo splendido tema principale composto da Harry Gregson-Williams; il comparto sonoro è tecnicamente perfetto e permette una completa immersione nell'ambientazione; il montaggio furioso di Pietro Scalia non lascia respiro e cuce immagini meravigliose in un arazzo in continua evoluzione. E poi c'è la regia: la gestione dello spazio, del ritmo, dei tempi della narrazione in cui Scott dà lezioni a tutti quanti, un talento sopraffino nelle inquadrature, un rigore claustrofobico di stampo kubrickiano che gradualmente lascia spazio all'ampiezza di campo memore di David Lean, dando respiro all'inquadratura. E infatti non mancano le citazioni e i rimandi ai suoi mentori: Prometheus, pur figlio di Alien e Blade Runner, non è restio a contaminarsi con la space-opera, riportando alla mente altri capolavori come 2001-Odissea nello Spazio e Solaris, ma rimanda anche (come già detto) a David Lean, e in particolare a Lawrence d'Arabia, citato direttamente nel corso del viaggio spaziale in quanto film preferito del robot di bordo (e forse dello stesso regista), David, interpretato da un gigantesco Michael Fassbender, un po' Pinocchio e un po' El Horens, a tratti replicante e a tratti fredda macchina calcolatrice, curioso e dispettoso come un bambino ma diabolico come un adulto, incredibilmente sfaccettato e ambiguo, a tratti nemico degli umani e spesso loro alleato, ma in definitiva superiore. Decisamente bravi anche la protagonista Noomi Rapace, in bilico tra fede e ragione, la fredda e incattivita Charlize Theron e il burbero ma autorevole Idris Elba. Ma tutto questo ben di Dio per gli occhi è, almeno in parte, bilanciato da quello per la mente: si sprecano i rimandi cinefili alla saga di Alien, alla Grecia antica (gli statuari Ingegneri sembrano sculture del Partenone), al mito di Prometeo (il titano magnanimo che in questo caso dona il fuoco della vita alla razza umana, gli dei che vogliono distruggere l'uomo per paura di poter essere spodestati, i mille Vasi di Pandora pronti a scatenare il caos sulla Terra), lo scontro tra scienza e religione, l'atto della creazione spogliato da qualsiasi orpello sentimentale e visto come un puro e semplice gioco di provette e formule chimiche funzionale a interessi tutt'altro che divini, la ricerca delle proprie origini, l'inquietudine esistenziale dell'essere umano che ha bisogno del conforto della fede per accettare la mancanza di significato dell'universo, lo scontro tra padri e figli e il rifiuto di questi ultimi da parte dei primi (sintetizzato nel binomio Ingegneri-Umani e Peter Weyland-Meredith Vickers/David), le grandi domande filosofiche che dall'alba dei tempi affligono l'uomo. Prometheus evoca queste domande senza ripondere a nessuna di esse, ponendo anzi nuovi interrogativi, lasciando a noi poveri mortali la ricerca delle risposte, qualcosa di molto frustrante per lo spettatore medio da cineplex, voglioso di risposte anche per gli interrogativi più basilari, pronto ad appigliarsi a qualsiasi scusa pur di non compiere lo sforzo intellettuale richiesto per la comprensione della propria assoluta ignoranza, una condizione che ci rende eguali ognuno di fronte all'altro. Scott ci mette il proprio incommensurabile mestiere, non esita a sporcarsi le mani di sangue, carne e viscere nella miglior tradizione del body-horror, allestisce uno spettacolo per gli occhi e per la mente che, al netto di qualche scivolone, può dirsi imperfetto ma di grande impatto e che, se non trascende i confini del cinema come fecero Alien e Blade Runner, almeno appaga e sazia l'immaginazione di chi, nel buio della sala cinematografica, non chiede altro che essere trasportato su mondi lontani e misteriosi, per poi rimanere attonito di fronte all'incommensurabile mistero della vita e al silenzio dell'universo. Conscio che il viaggio è appena cominciato.

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