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Prometheus

Regia di Ridley Scott vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Prometheus

di lussemburgo
6 stelle

In quest’astuta prosecuzione aggiornata e retrodatata di Alien da parte del regista originale, tutto viene preso alla lettera. A distanza di oltre 30 anni, di quattro film dedicati e due derivati, videogiochi e spostamento nella mitologica del culto del modello iniziale, il film non può che ripartire dalle premesse, amplificandole secondo la logica del sequel e azzerandole nella prospettiva del prequel che, in parte, si vuole necessariamente un reboot tecnologico della medesima trama.
Dato che la matrice ha definito una mitologia ormai classica, Prometheus costruisce una trama alla ricerca delle origini, non solo della saga ma della stessa umanità, nata dall’inseminazione di un pianeta sterile da parte di una razza aliena umanoide dalle fatture divine. Giganti bluastri dal naso greco donano la vita alla Terra e, a distanza di millenni, i loro discendenti evoluti si avventurano nel buoi dello spazio per incontrare i padri celesti.

Una nave nello spazio con un equipaggio addormentato sorvegliata da un androide ridefinisce, secondo i consueti moduli allargati delle prosecuzioni (17 membri noti dell’equipaggio contro i 7 dell’equipaggio della Nostromo), un deposito di vittime designate mentre l’ambiente a disposizione si espande ad un insediamento ignoto su un pianeta inesplorato.

L’intero film è informato così dall’idea della creazione - originale narrativamente, e genetica drammaturgicamente -, dall’idea di costruire del nuovo dal noto, di dare e ridare la vita. Così come gli Ingegneri hanno donato il soffio vitale al pianeta, Scott e i suoi sceneggiatori vogliono riportare in vita Alien e gli alieni a noi noti. Un prequel deve definire, soprattutto, un moto di avvicinamento ad una trama nota. L’alieno come noi lo conosciamo sarà il frutto dell’unione artificiosa dell’intervento di un androide maligno (che si vuole esploratore e capopopolo alla stregua del suo modello Lawrence d’Arabia, nell’accezione di Lean) e di una scienziata caparbia, è il parto irrazionale di una coppia anomala che crea una variazione genetica che inaugura l’universo narrativo conosciuto. Ma, secondo i canoni del reboot contemporaneo, l’epilogo è soltanto il prologo evidente di una continuazione annunciata, il nuovo variato diventa capostipite di una serialità ridefinita, secondo un’ulteriore declinazione del concetto di creazione e filiazione.

Mentre l’inedita coppia genitoriale superstite si rimette in viaggio verso un’altra origine, lontano dalla Terra e dal territorio esplorato del già narrato per promettere nuove e diverse avventure nella retromarcia del tempo e dell’azione verso la fonte della nuova mitologia (la provenienza dei semidei), quella classica può abilmente discendere separata da questo incipit, con successivi aggiustamenti in attesa di chiarificazione.

Così il film stesso si antepone al canone dell’universo di riferimento per deviarlo opportunamente ma senza infrangerlo, prende alla lettera il concetto di seguito per innestarlo all’interno di quello di origine in quanto ridefinizione del concetto iniziale trasformando tutti questi procedimenti retorici in trama, esattamente come il genitore articolato dell’alieno parassita l’umano per permettere la nascita e lo sviluppo del de­leterio feto. Non solo il concetto di slasher fantascientifico viene recuperato e moltiplicato ma nella trama vengono mantenuti anche gli apporti successivi degli Alien derivativi di una minaccia in avvicinamento verso la Terra, di una razza costruita come arma di distruzione di massa di scala planetaria, dell’avidità delle corporation che rischiano di annientare l’umanità, dell’interesse egoistico come fautore del pericolo dell’estinzione. E la sceneggiatura non risparmia di inglobare anche l’interpretazione critica fatta ai precursori che vedevano nella nascita del mostro una visione infernale della nascita offrendoci una vera scena di parto mostruoso, anche autogestito dalla protagonista secondo i canoni androgini già esplicitati in precedenza da Sigourney Weaver.

Dare nuova vita con il materiale già a disposizione, farlo crescere e maturare per descriverne la nascita e la genesi fa del film un perfetto esempio applicato e funzionante di metacinema celato. Prometheus, come indicato dal titolo, parla di nascita e di esplorazione, di fecondazione e di sterilità, di rinnovamento genetico e di annientamento, di dono e di delusione perché la vita donata può dover essere revocata e la curiosità nuocere.

Tra desiderio di filiazione e anelito metafisico alla ricerca della discendenza e della creazione, vettori divergenti intelligentemente integrati alla trama, il senso negato della famiglia e la necessità di sopravvivenza per adattamenti successivi, la razionalità prevalente sulla dinamica degli affetti, il film dimostra grande intelligenza costruttiva ma eccessiva prudenza registica, come se non riuscisse a definire uno stile necessario ad assecondare le proprie infinte ambizioni finendo per essere come il personaggio della Theron, algido sino al sospetto del poco umano, o gli zigomi della Rapace: artificioso.

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