Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Da dove veniamo? Dove stiamo andando? Perché, chi, quando? Le risposte sono dentro di te, ma sono tutte sbagliate. Parafrasando Quelo, il santone farlocco di Corrado Guzzanti si ha il senso ultimo della realizzazione del prequel del capolavoro di fantascienza, Alien del 1979.
Quello che doveva essere il capitolo precedente di un robustissimo film di genere ammantato da una sotterranea riflessione sul terrore metafisico derivato dall’ignoto, generatore di una nuova nascita (il computer Mother e i cunicoli del Nostromo erano un ventre nel quale una nuova specie prende vita), diventa una divagazione sul tema della creazione dell’uomo che sposa la teoria della contaminazione più o meno consapevole da parte di una razza aliena giunta fino a qui - chissà perché - per crearci. Salvo poi cambiare idea e preparare un armamento immane - chissà perché - per sterminarci.
Quando Mother capta il segnale di aiuto proveniente dal planetoide gravido di alieni facendo virare il Nostromo verso una delle avventure più belle di tutta la storia del cinema, gli avvenimenti di Prometheus si sono già consumati.
Con questa consapevolezza, martellante, che ha caratterizzato tutto il battage pubblicitario per sfruttare il brand Alien, il face hugger dell’ incongruenza che per anni aveva pazientemente atteso nel suo uovo, salta in faccia allo spettatore insinuandogli nel ventre l’amaro germe della presa per i fondelli. Si rischia l’effetto steampunk nel constatare quanto la fantascienza mainstream sia poco rispettosa di un Mito. La tecnologia del Prometheus è spaventosamente più avanti rispetto a quella del Nostromo che nella scansione temporale degli eventi, viene 30 anni dopo. La tecnologia del Nostromo e del computer Mother è totalmente analogica, quella di questo film pretende di ricreare l’ontologia precedente ad Alien con una intensificazione tecnologica che espande quella attuale. E’ come se in un film rievocante il 1920 i personaggi si servissero di un iPad 10.
Estraniandosi da questo concetto Prometheus diventa un discreto film di fantascienza para-filosofica che nel primo tempo accarezza senza colpo ferire i temi della creazione del genere umano. Sono contrapposti il pagano delirio creazionista alieno (con tanto di idolo antropomorfo) alla natura divina dell’uomo così come la fede della paleontologa Elizabeth Show ( Noomi Rapace) si scontra con la scienza di un ottimo Michael Fassbender, androide della serie David 8 fedele al suo creatore, il miliardario Weyland fondatore della compagnia che organizza la missione, più degli umani stessi. Un androide che ammicca ad Hal9000 di Kubrick per l’umanità sintetica che emana così come è algido tutto il comparto estetico della nave Prometheus che richiama alla cultura già metabolizzata della fantascienza autoriale per imporre il proprio imprinting. Per contrasto le forme luminescenti del Prometheus si scontrano con il design alieno gothic-biomeccanico di H.R.Giger che fa respirare il DNA di Alien a pieni polmoni – ripulito di tutte le allusioni carnali genitali dell’opera dell’artista svizzero - e allude dichiaratamente ai racconti di H.P. Lovecraft – e alla bestia tentacolare finale - per immaginare il pantheon di semidei, gli Antichi o Architetti generanti la razza umana. Forte ancor di più è il riferimento a Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava già ispiratore del capitolo originario ma qui ancora più connotato dal design delle tute molto simile a quelle disegnate da Jean Paul Gaultier per il film di Bava e dalla parte dell’esplorazione della grotta con il ritrovamento dei cadaveri degli Architetti.
Sotto questo aspetto il film non delude, l’impianto estetico seppur non originalissimo è di forte impatto e alcune intuizioni sono valide anche se mai totalmente approfondite. Anche il 3D risulta essere buono e per una volta giustificato dalla necessità di immergere lo spettatore nelle cavità aliene ove la vita, forse, si è sviluppata.
L’atto prometeico del sacrificio dell’Architetto che scioglie il proprio DNA nella cascata inseminando di fatto quel mondo, è il prologo del substrato cristologico-religioso che pervade il film e ne ribalta i significati. La paleontologa credente abortisce l’essere alieno in piena consapevolezza (ma non eravamo tutti figli di…?), mentre l’androide David 8 , il personaggio più importante del film e al quale vengono riservate le battute migliori, lava i piedi al suo anziano creatore in un atto di umile sottomissione – programmata – ma da forte valore simbolico.
Nonostante questo il film crolla parzialmente sotto i canonici difetti del cinema mainstream americano odierno, pavido e rassicurante. Esaurita la spinta filosofica, l’action irrompe e canonizza il tutto sul già visto, banalizzando la storia con didascalismi inutili. Come da default a parte i protagonisti principali, tra cui una glaciale Charlize Theron, la caratterizzazione dei comprimari è sciocca e prevedibile. Ci sono sempre gli antipatici che muoiono subito in quanto tali, dinamiche di gruppo non sempre contenute nei recinti della credibilità, buchi di sceneggiatura. Non è un film compatto Prometheus, più che fornire risposte mette carne al fuoco delle domande che rimangono ad aleggiare nello spazio in attesa di un sequel che il finale aperto sottintende. Espediente narrativo molto in voga nei serial americani, Damon Lindelof sceneggiatore per Ridley Scott è stato sceneggiatore di Lost dal quale ha mutuato il gusto per la sospensione degli eventi narrati.
Messaggio ultimo, l’essere umano non sarà mai completo finché non scoprirà la natura della propria esistenza, l’incontro con il Padre quale esso sia sarà fonte di salvezza. La spinta propulsiva ad affrontare un viaggio verso l’ignoto spazio profondo equivale ad un viaggio all’interno dell’Essere alla ricerca delle risposte più intime. Il viaggio che l’androide David 8 algido nel suo sorriso rassicurante ha già compiuto, avendo pienamente preso contatto con il suo creatore. L’aspetto interessante, più di quanto non fossero gli altri androidi presenti nei film precedenti, è proprio il confronto di umanità, sintetica Vs originale, attorno al quale ruota il senso del film. David 8 possiede una conoscenza illimitata ma non possiede lo stupore dell’essere umano di fronte a ciò che apprende. La paleontologa Elizabeth sopravvissuta alla mattanza, compensa questa mancanza con la propria anima e curiosità. Il viaggio lo affronteranno insieme, un Adamo e Eva verso la casa del Padre. In origine il film avrebbe dovuto chiamarsi Paradise.
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