Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Quando un gigantone dalla testa lucente muore, va un po’ dove vuole: cielo, paradiso, o pianeta sconosciuto che sia, magari lontano anni luce dalla Terra e nascosto in una montagna-sarcofago in attesa che qualcuno vada a cercarlo. Allorché due scienziati che cercano a tutti i costi le origini dell’uomo, con Noomi Rapace/Elizabeth Shaw che ricopre un ruolo prossimo alla Maculata Concezione, trovano alcuni reperti archeologici appartenenti a civiltà molto antiche e diverse fra loro le quali hanno tutte lasciato uno stesso graffito, comincia l’avventura.
Sull’astronave che li porta verso quello che credono essere l’esatto spazio profondo, David (Michael Fassbender, a maggior agio qui che non nei ruoli drammatici e impegnativi che lo hanno lanciato) è un robot ladro di sogni che indossa le infradito, evidentemente trendy anche fra 80 anni. È lui che mantiene pulita la superficie della nave spaziale Prometheus, mentre gli altri 16 componenti del personale dormono. Inganna il tempo giocando a basket meglio di Michael Jordan, pettinandosi come Peter O’Toole in “Lawrence d’Arabia” e mettendosi al servizio della Weyland Corporation, la compagnia che ha finanziato l’operazione. Quella che gli ha ordinato di studiare i linguaggi antichi guardando il dipinto della Gioconda e dell’uomo vitruviano (qualcosa mi dice che si sarebbe preparato con maggior scrupolo se avesse letto i romanzi di Dan Brown).
La sceneggiatura procede incostante pur tuttavia curiosa. Stimola un confronto tra i diversi caratteri e sembra intenzionata ad approfondire ogni aspetto psicologico. C’è tanto mestiere e qualche grande momento visivo nell’introduzione sulla ricerca dell’immortalità. Nella prima parte si assiste a una specie di fantascienza con pretese filosofiche e religiose (c’è anche una ingiustificabile stanza “dedicata” al “2001” kubrickiano), arrischiando qualcosa di sovrannaturale con tanto di sfilata di scheletri-fantasma che stuzzica impulsi maligni.
Poi ti accorgi che quei privilegiati della Prometheus godono di comandi e tecnologie che avrebbero reso felice l’equipaggio di stanza su quel “ferro vecchio” che fu la Nostromo. Già uno fatica ad accogliere un antefatto di “Alien”; se hai l’ardire di girarne un prequel e pretendi una minima attendibilità, non ti inventare mezzi di comunicazione iperbolici, che sennò non ti crede nessuno. Ci sono degli schermi olografici interattivi che avrebbero fatto la fortuna (o la disgrazia, dipende dai punti di vista) dei personaggi di almeno due dei primi film delle serie.
Il pianeta dove si posano dolcemente i “piedini” di Prometheus è una Luna dotata di montagne, grotte, stalagmiti, tracce di civiltà preistoriche, e insidiosi e sconosciuti vermicelli. L’ammutinamento da parte di un geologo (!) (che dovrebbe essere dotato anche di aspetti mercenari mai approfonditi dalla sceneggiatura) e di un biologo (!) che se ne vanno dopo cinque minuti dall’atterraggio, sta al prestigio come un ragazzino che pretende di far sega a scuola presentando agli insegnanti, prima della ritirata, la giustificazione dei genitori. E assistere a questo banale stratagemma per allungare il brodino degli accadimenti narrativi è piuttosto sconfortante.
*** PROBABILE SPOILER ***
Lo scarso vigore dell’attuale Ridley Scott rovina sulla solidità di certe navi spaziali e costringe uno dei personaggi principali a un’improbabile alleanza dell’ultimo minuto con l’impostore che gli ha distrutto la vita. Si tratta di una mancata eroina che, dopo aver fatto ramanzine sul senso di responsabilità al capitano della nave, volta le spalle al destino della Terra fuggendo, tronfia come non mai, con una testa mozzata. La reiterazione del “colpo di scena”, obbligato in questi film in odor di blockbuster, giunge una volta di troppo, e svela che il replicante regista è in realtà fatto di carne e, come tutti, cerca di racimolare i soldi come mercato consiglia.
Purtroppo il cineasta britannico non mantiene quello che prometea, corpo estraneo rispetto a uno dei suoi film più famosi. Perde la fiducia in se stesso quando non sfrutta a dovere il possibile ruolo di “Madre delle Madri” che sarebbe potuto calzare a pennello alla cosiddetta Maculata Concezione, e anzi si diverte a rifilargli, al momento di un parto cesareo improvvisato, una serie di punti giganteschi con una spillatrice!
Perché adesso pretenderesti di essere riconosciuto quale ingegnere creatore di Alien quando hai appena rinnegato la tua stessa prole, gettandola in pasto a un discutibile sfruttamento commerciale e banalizzando il processo della sua genesi? Perché colpire al cuore il coraggio mostrato dalla Madre Umana Ellen Ripley e divorare anch’ella creando impiccio e un profondo senso di colpa nello spettatore? Rassegniamoci, certi autori non esistono più: hanno perso smalto, non hanno voglia di mettersi in gioco, e se ne fregano persino della loro reputazione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta